IN POCHE PAROLE…

La suddivisione in lotti  è uno degli istituti c.d. pro-concorrenziali, a garanzia dell’apertura del mercato e di contrasto a possibili posizioni monopolistiche e di predominio.

Consiglio di Stato, sent. n. 9205/2023 – Pres. R. Greco, Est. G. Ferrari.


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D.lgs. 50/2016

D.lgs. 36/2023


Con bando pubblicato lo scorso giugno, veniva indetta una gara al fine di concludere un accordo quadro avente ad oggetto la fornitura di strumentario e dispositivi medici.

La procedura prevedeva una suddivisione in lotti. L’oggetto della controversia giunta all’esame del Consiglio di Stato atteneva al lotto n. 3 (“Placchedispositivi impiantabili sterili”), a sua volta suddiviso in 37 sub-lotti.

L’aggiudicazione sarebbe conseguita a singolo lotto completo. Di conseguenza, gli operatori economici interessati a presentare un’offerta per il lotto poc’anzi citato avrebbero dovuto disporre di tutte le diverse tipologie di placche elencate nei rispettivi sub-lotti.

Una società ricorreva alla giurisprudenza amministrativa evidenziando l’eterogeneità dei dispostivi ricompresi nel lotto n. 3, che non avrebbe consentito la partecipazione delle piccole e medie imprese.

In primo grado, il TAR respingeva il gravame, sottolineando la non irragionevolezza della scelta della stazione appaltante di suddividere l’oggetto dell’appalto in 18 lotti, includendo nel lotto n. 3 le varie tipologie ed i numerosi sistemi di placche. Aggiungeva che si trattava di dispositivi tra loro assimilabili dal punto di vista qualitativo e funzionale, ben distinti rispetto a quelli fatti oggetto degli altri lotti.

Inoltre, il Tribunale Amministrativo Regionale affermava che l’art. 51 del d.lgs. n. 50/2016 imporrebbe l’obbligo di motivare la mancata suddivisione dell’appalto in lotti e non anche la mancata suddivisione di un lotto in ulteriori lotti e che l’incapacità della società ricorrente di offrire tutti i device inclusi nel lotto n. 3 non costituirebbe di per sé un ostacolo insormontabile alla sua partecipazione alla gara, ben potendo la stessa fare ricorso ad istituti quali il raggruppamento

In appello, la risposta dei Giudici di Palazzo Spada giungeva ad un esito differente.

Normativa e orientamenti giurisprudenziali

La fattispecie in esame trovava la propria disciplina, ratione temporis, nell’art. 51 del d.lgs. n. 50/2016, ora abrogato dal nuovo codice del 2023, salvo quanto previsto per il regime transitorio (art. 225 D.Lgs. 36/2023).

Una previsione con la quale il legislatore italiano recepiva le indicazioni provenienti dal diritto euro-unitario, in particolare dalla Direttiva 2014/24/UE, stabilendo la regola della suddivisione in lotti, salvo motivata deroga.

L’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa riconosce in tale istituto una finalità pro-concorrenziale e di miglioramento dell’efficienza del servizio nei confronti dell’utenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 settembre 2021, n. 6402).

Il Consiglio di Stato, in più occasioni, ha individuato la ratio dell’introduzione della regola della suddivisione in lotti nella necessità di garantire un’apertura del mercato, contrastando possibili posizioni monopolistiche e di predominio.

Attraverso la previsione di requisiti meno gravosi in quanto parametrati sui singoli lotti, si assicura, infatti, una partecipazione anche alle imprese di più ridotte dimensioni, che sono così in grado, dato il valore ridotto dei contratti, di presentare un’offerta che, nel caso di procedura unitaria, non avrebbero potuto proporre.

Sul punto, la Direttiva 2014/24/UE, al Considerando 2, precisa che gli appalti pubblici costituiscono uno degli strumenti basati sul mercato necessari alla realizzazione di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, garantendo contemporaneamente l’uso più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici. A ciò aggiunge che tra le proprie finalità vi è quella di aggiornare la precedente Direttiva 2004/18/CEin modo da accrescere l’efficienza della spesa pubblica, facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici e permettendo ai committenti di farne un miglior uso per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale”.

Segue il Considerando n. 78, nel quale si legge che le Amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti. Se, al contrario, decidono di non perseguire questa via, la relazione individuale o i documenti di gara dovrebbero contenere un’indicazione dei principali motivi della scelta. Motivi che, a titolo esemplificativo, potrebbero consistere nel fatto di aver ritenuto che tale suddivisione potesse rischiare di limitare la concorrenza o di rendere l’esecuzione dell’appalto eccessivamente difficile dal punto di vista tecnico o troppo costosa, ovvero che l’esigenza di coordinare i diversi operatori economici per i lotti potesse rischiare seriamente di pregiudicare la corretta esecuzione dell’appalto.

Infine, l’art. 46 della Direttiva ribadisce che qualora le Amministrazioni aggiudicatrici decidano di non aggiudicare un appalto sotto forma di lotti separati, daranno atto nella motivazione delle ragioni in tal senso, riportandole nei documenti di gara o nella relazione unica di cui all’articolo 84 della Direttiva medesima.
Ebbene, un simile dettato normativo ha trovato recepimento a livello interno, oltre che concreta applicazione in sede giurisprudenziale, dove ne è stato rimarcato il carattere generale, nel rispetto del principio di buon andamento.

Al tempo stesso, è proprio l’art. 51 del d.lgs. n. 50/2016 a consentire di derogare alla regola della suddivisione in lotti, purché, veniva riportato nella disposizione all’epoca in vigore, sussistano giustificati motivi, puntualmente espressi nel bando o nella lettera di invito. Un onere cui è tenuta la stazione appaltante che scelga di non adeguarsi al precetto normativo. Quest’ultima deve, però, contemperare gli interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento di appalto ed esercitare il proprio potere discrezionale nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza (a questo riguardo cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2023, n. 5992; Cons. Stato, sez. III, 7 maggio 2020, n. 2881).

La sentenza

Il punto centrale dell’analisi compiuta dal Consiglio di Stato nella risoluzione della controversia portata al suo esame concerneva la valutazione della logicità e della ragionevolezza della suddivisione in lotti operata dalla stazione appaltante.

Diversamente da quanto sostenuto dai Giudici di primo grado, l’Organo giudicante evidenziava come i dispositivi contenuti nel lotto n. 3 fossero tra loro eterogenei e singolarmente dotati di autonomia funzionale. Le placche oggetto dei 37 sub-lotti, per la loro diversità ed infungibilità, circoscrivevano l’ampiezza delle offerte unicamente agli operatori economici altamente specializzati e di ampie dimensioni.

Una simile disomogeneità avrebbe pertanto giustificato, secondo il Consiglio di Stato, sì una distinzione dei lotti, ma non per macro-categorie, bensì per tipologia di prodotti.

Inoltre, il semplice fatto che vi sia stata una suddivisione in lotti non escluderebbe a priori che possano essere sindacate, sotto il profilo della legittimità e del rispetto sostanziale della ratio della disposizione, anche le modalità con le quali la suddivisione è avvenuta.

A questo riguardo, una conferma deriva dalla disposizione dell’art. 58, comma 3, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, che impone alle stazioni appaltanti di esplicitare in ogni caso “i criteri di natura qualitativa o quantitativa concretamente seguiti nella suddivisione in lotti”, avuto riguardo ai parametri evincibili dai princìpi europei sulla promozione di condizioni di concorrenza paritarie per le piccole e medie imprese.

Al contrario, nel caso concreto, la disciplina di gara, limitatamente al lotto n. 3, era stata predisposta in termini tali da escludere che potessero presentare un’offerta tecnica ammissibile non solo le piccole e medie imprese, ma anche i primari operatori del settore, che sono, però, specializzati nella produzione solo di dispositivi relativi alla chirurgia di specifiche parti del corpo umano. Il tutto con potenziali effetti negativi per la stessa Amministrazione, che potrebbe trovarsi esposta a maggiori costi ove il confronto competitivo fosse realmente circoscritto a pochi operatori economici.

Nell’accogliere l’appello proposto, il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza di primo grado, annullando in parte qua gli atti di gara, limitatamente al lotto n. 3.

Riflessioni conclusive alla luce del d.lgs. n. 36/2023

L’interesse suscitato dalla recente pronuncia trova la propria ragione alla luce del contesto spazio-temporale in cui essa si inserisce.

Infatti, la sentenza annotata viene emessa a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici.

Il d.lgs. n. 36/2023, che,  per quello che qui interessa, conferma, in linea di massima, la disciplina del precedente codice sulla <suddivisione in lotti>  per garantire la effettiva partecipazione delle micro, delle piccole e delle medie imprese, anche di prossimità. Nello specifico, prevede che gli appalti debbano essere suddivisi in lotti funzionali, prestazionali o quantitativi in conformità alle categorie o specializzazioni nel settore dei lavori, servizi e forniture , obbligando le stazioni appaltanti a motivare nel bando o nell’avviso di indizione della gara la mancata suddivisione oppure, in caso di suddivisione in lotti, a giustificare i criteri di natura qualitativa o quantitativa concretamente seguiti, avuto riguardo ai parametri fissati dalla stessa norma (art. 58).

Inoltre, prevede che,  se un’opera o una prestanzone o un progetto per forniture omogenee può dar luogo ad appalti aggiudicati per lotti distinti (anche non contemporaneamente), si  cumula il valore della totalità dei lotti e  se  il valore cumulato è pari o superiore  soglie europee, le regole per il sopra soglia si applicano all’aggiudicazione di ciascuno  ciascun lotto, salvo le specifiche eccezioni (art. 14, commi 9 e 10).

Ciò anteposto, occorre considerare che il nuovo codice codifica i principi che presiedono all’intera materia, con uno specifico duplice obiettivo: portare chiarezza tra operatori ed interpreti riguardo alle finalità sottese all’adozione del nuovo testo normativo, e incidere sulla discrezionalità delle stazioni appaltanti, chiamate a tenere in considerazione tali principi nella loro attività amministrativa, quali criteri orientativi e supporti motivazionali.

Come noto, il titolo I enuncia i seguenti principi: risultato, fiducia, accesso al mercato, buona fede e tutela dell’affidamento, solidarietà e sussidiarietà orizzontale, auto-organizzazione amministrativa, autonomia negoziale, conservazione dell’equilibrio contrattuale, tassatività delle cause di esclusione, applicazione dei contratti collettivi di lavoro.

In altri termini, con essi si è tentato di dare sostanza al principio costituzionale del buon andamento, in un’ottica capace di andare al di là di meri formalismi procedurali. Si tratta di principi, per certi versi, originali, che comunque non fanno venire meno, bensì integrano, quelli europei di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, nonché quelli generali dell’attività amministrativa di cui alla l. n. 241/1990.

Il decreto, però, non si limita ad una loro elencazione paritaria, fornendo piuttosto criteri di contemperamento e relativa priorità. Ai sensi dell’art. 4, infatti, le disposizioni del Codice “si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2, 3” (risultato, di fiducia e di accesso al mercato).

Inoltre, i principi di risultato, di fiducia e di accesso al mercato si osservano anche per i contratti per i quali non si applicano le disposizioni del nuovo Codice. Dunque per i contratti esclusi, i contratti attivi e i contratti a titolo gratuito (art.13, comma 2), nonché per gli appalti pre-commerciali (art. 135 comma 2) e per la selezione per la scelta del socio privato nelle società a partecipazione pubblica, di cui al d.lgs. n. 175/2016 (art. 174, comma 4).

Da ultimo, l’art. 76, comma 1 (nonché l’art. 158), in materia di affidamenti di appalti pubblici d’importo superiore alle soglie UE mediante una procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara, ribadisce che essi avvengano nel rispetto dei principi di risultato, fiducia e accesso al mercato.

Al tempo stesso, l’art. 119, in tema di subappalto, consente alle stazioni appaltanti di stabilire, nel rispetto dei principi di risultato, fiducia ed accesso al mercato, in ragione delle specifiche caratteristiche dell’appalto, che talune prestazioni o lavorazioni non siano subappaltabili, dovendo essere eseguite a cura diretta dell’aggiudicatario.

Ciò posto, va, però, compreso il significato pratico e giuridico di queste disposizioni. Gli operatori professionali, infatti, devono poter comprendere come concretamente tradurre il particolare rilievo che viene attribuito ai tre principi da ultimo enunciati.

Limitandosi ad un accenno circoscritto alla materia oggetto di analisi in questa sede, basti ricordare come, ai sensi dell’art. 1, letto con l’ausilio della relazione al Codice predisposta dal Consiglio di Stato, il principio del risultato, declinato in termini di massima tempestività e migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, rappresenta l’interesse pubblico primario del nuovo Codice e la finalità principale che stazioni appaltanti ed Enti concedenti devono sempre assumere nell’esercizio della loro attività.

Le Pubbliche amministrazioni sembrerebbero, dunque, non poterne prescindere nell’esercizio del loro potere discrezionale e nell’individuazione della regola più idonea al caso concreto.

Da qui la questione attinente lo spazio che allo stato attuale occupa o può occupare il diverso principio di tutela della concorrenza. Un tentativo di risposta può forse essere, almeno in parte, dato cogliendo alcune riflessioni compiute dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento.

Come noto, infatti, la disciplina introdotta negli anni in materia di concorrenza, nell’intenzione del legislatore e della giurisprudenza anche sovranazionale intervenuta sul punto, dovrebbe fungere da mezzo di crescita sociale e collettiva.

Al contempo, però, il principio di risultato previsto nel nuovo Codice dei contratti pubblici potrebbe sembrare aver assunto oggi una preminenza, esautorando la portata di quello di concorrenza collocata in funzione strumentale al risultato.

In particolare, l’apertura al mercato diviene piuttosto strumento attraverso il quale poter raggiungere e dare forma “virtuosa” al risultato, unitamente alla trasparenza e pubblicità. A sua volta, quest’ultimo permette, o quantomeno dovrebbe permettere, di far fronte alle esigenze sociali, dandone risposta in termini efficienti, razionali e secondo criteri aperti ad un confronto tra i diversi soggetti interessati.

La concorrenza non funge, quindi, da fine ultimo da perseguire, quanto piuttosto da strumento da osservare ed utilizzare già sin dalla fase iniziale della procedura di gara.

Ma quali sono i limiti ed i confini del principio di concorrenza?

Il Consiglio di Stato, con la sent. n. 9205/2023, fornisce, almeno indirettamente, una prima risposta ai dubbi sorti con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici, ponendo l’attenzione sulla ragionevolezza e sulla meritevolezza delle scelte della Pubblica amministrazione, che deve esercitare i propri poteri senza poter prescindere da una motivazione conseguente ad un’analisi della molteplicità degli interessi coinvolti e dei diversi principi che ad essi si ricollegano.

In ogni caso, questa pronuncia non conclude il dibattito in materia. Saranno, dunque, la prassi amministrativa ed i futuri interventi giurisprudenziali a permettere nel tempo di meglio comprendere se e fino a dove possa concretamente spingersi il sacrificio del principio di tutela della concorrenza a favore del risultato.

Alessandro Sorpresa, dottorando in Scienze Giuridiche Europee ed Internazionali presso l’Università degli Studi di Verona


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