Per giurisprudenza costante, nel caso di omessa dichiarazione di condanne penali riportate dal concorrente, il provvedimento di esclusione dalla gara è legittimo non sussistendo in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 4 dicembre 2017, n. 5707, Presidente Caringella, Estensore Fantini

A margine

Il fatto – Un Comune indice una procedura negoziata di cottimo fiduciario per l’affidamento del servizio di brokeraggio per la durata di 3 anni disponendo l’aggiudicazione a favore di una ditta.

In sede di verifica del possesso dei requisiti emerge tuttavia l’erroneità della dichiarazione resa dal socio di maggioranza della ditta in ordine alla propria posizione penale, che aveva invece riportato nel corso del 1974 una condanna per il delitto di falsità materiale in atti pubblici, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione, non risultante dal casellario giudiziale.

Pertanto l’amministrazione dispone la revoca dell’aggiudicazione per violazione dell’obbligo di dichiarazione di cui all’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 mentre l’impresa ricorre al Tar affermando che la dichiarazione relativa all’assenza di condanna penale è dipesa dalla mancata menzione della stessa nel certificato del casellario giudiziale e che, in ogni caso, la stazione appaltante avrebbe dovuto attivare il procedimento di sanatoria trattandosi di una sentenza di condanna risalente a circa 36 anni prima dell’indizione della gara.

Con sentenza n. 708/2016, il Tar Basilicata respinge il ricorso affermando che i concorrenti ad una gara di appalto devono attestare con apposita autodichiarazione, oltre alla mancanza delle sentenze di condanna indicate nel certificato del casellario giudiziale, anche l’assenza di altri provvedimenti giudiziali non riportati ai sensi dell’art. 689, comma 2, Cod. proc. pen., per i quali non è stata ottenuta la riabilitazione.

La sentenza – In appello il Consiglio di Stato conferma la pronuncia di primo grado.

In particolare, il collegio che ricorda che dall’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, in tema di requisiti di ordine generale, si desume che il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva redatta in conformità del d.P.R. n. 445 del 2000, «in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione». La dichiarazione, in relazione a quanto stabilito dal comma 1, lett. c), dello stesso art. 38 deve riguardare, oltre al legale rappresentante, anche il socio di maggioranza.

Per giurisprudenza costante, nel caso di omessa dichiarazione di condanne penali riportate dal concorrente è legittimo il provvedimento di esclusione ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, non sussistendo in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione, conseguendo il provvedimento espulsivo all’omissione della prescritta dichiarazione, che invece deve essere resa completa ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale e deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla gravità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante.

Tale soluzione trova ulteriore conferma sul piano del diritto positivo nell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, in forza del quale la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici conseguiti, senza che tale disposizione lasci alcun margine di discrezionalità all’Amministrazione.

Ciò significa che la norma esclude ogni valutazione circa il dolo o la colpa grave del dichiarante, facendo leva sul principio di autoresponsabilità (Cons. Stato, V, 3 febbraio 2016, n. 404).

Conseguentemente non può nemmeno opporsi la considerazione per cui la dichiarazione riguarda il fatto del terzo, ed in particolare una sentenza di condanna emessa nei confronti del terzo non evincibile dal certificato del casellario giudiziale a richiesta dei privati. Infatti, la dichiarazione ex art. 47, comma 2, del d.P.R. n. 445 del 2000 “di quanto a diretta conoscenza” non costituisce una esclusione della responsabilità del dichiarante, il quale, al contrario, si assume le conseguenze ad essa riconnesse. Diversamente opinando, e dunque ponendo un limite di conoscibilità ritraibile dal solo certificato del casellario (di cui all’art. 24 del d.P.R. n. 313 del 2002), si determinerebbe un insanabile conflitto sistematico con la norma di cui all’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, la quale precisa che la dichiarazione sostitutiva deve indicare tutte le condanne penali, ivi comprese quelle per le quali si sia beneficiato della non menzione.

Tali considerazioni inducono quindi a disattendere il motivo di appello, con cui si deduce che, non sia ravvisabile una falsità della dichiarazione, quanto piuttosto un’omissione commessa in buona fede, incompatibile con l’applicazione del provvedimento di esclusione.

Conclusioni – Il giudice ricorda infine che il soccorso istruttorio non può operare a fronte di una dichiarazione mendace.

Quanto all’affermazione della ricorrente secondo cui il giudice penale avrebbe avuto (ai sensi dell’art. 178 del r.d. n. 1398 del 1930) l’obbligo di procedere d’ufficio alla declaratoria di estinzione del reato alla scadenza del quinquennio dalla sentenza di condanna, e dunque dal 9 aprile 1979, facendo così venir meno ogni obbligo dichiarativo ai fini della gara oggetto di controversia, il collegio ritiene lo stesso inammissibile, in quanto, ai sensi dell’art. 104, comma 1, CPA, non è ammessa la proposizione in appello di motivi nuovi di ricorso contro il provvedimento impugnato in primo grado.

 


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