L’art. 53 del d.lgs. 165/2001 ha ribadito il generale principio dell’incompatibilità, sancito per i dipendenti statali (e degli enti pubblici non economici), con riferimento a tutti i pubblici dipendenti.

Il permanere dell’iscrizione all’albo degli avvocati lascia presumere l’esercizio della professione forense con connotazione di abitualità.

Corte di cassazione, civile, Sez. Lavoro, sentenza 12 dicembre 2018, n. 32156, Presidente Napoletano, Estensore Blasutto

A margine

Il fatto

La Corte di appello di Napoli rigetta il reclamo proposto da un ex dipendente pubblico avverso la sentenza del Giudice del lavoro che ritiene legittimo il suo licenziamento disciplinare da parte del Comune-datore di lavoro per incompatibilità della funzione di pubblico dipendente con l’esercizio della professione forense respingendo le censure mosse sulla tardività dell’azione disciplinare, sulla non corrispondenza tra contestazione e addebiti posti a base del licenziamento e sul difetto di prova dei fatti ascritti.

Per la cassazione di tale sentenza il soggetto propone ricorso affermando:

  • la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 5, 6 e 7 CCNL 2010, art. 55-bis d.lgs. n. 165/01, art. 2119 c.c., L. n. 604/66 e art. 18 L. 300/70, per tardività della contestazione rispetto al momento di conoscenza dei fatti assumendo che la Corte territoriale ha erroneamente interpretato e applicato alla fattispecie l’art. 53 d.lgs. n. 165 del 2001, poiché l’Amministrazione comunale aveva conoscenza della sua iscrizione all’albo degli avvocati quantomeno del 19 dicembre 2013: a tale data risaliva la prima acquisizione della notizia dell’infrazione; rispetto a tale momento la contestazione disciplinare era tardiva, poiché avvenuta soltanto 11 giugno 2015. Deduce che il concetto di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, da cui dipende l’esatta identificazione del dies a quo per il valido esercizio dell’azione disciplinare, indica un comportamento puramente ricettizio di un fatto oggettivo, scevro da qualsiasi valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione, restando esclusa una fase procedimentale per avere la certezza della notizia come acquisita;
  • l’omesso esame di un fatto decisivo ovvero della richiesta di cancellazione dall’albo degli avvocati avanzata dal ricorrente in data 19 dicembre 2012 assumendo che la circostanza di avere avanzato tale richiesta, se valutata, avrebbe consentito di fare ritenere a lui non ascrivibile il ritardo, imputabile invece al Consiglio dell’Ordine nel provvedere alla cancellazione;
  • l’insussistenza del fatto ascritto e della incompatibilità posta a base del licenziamento in quanto la permanenza dell’iscrizione all’albo era dipesa dal ritardo imputabile al Consiglio dell’Ordine e che la sola iscrizione un albo professionale non è vietata, in quanto il divieto posto dall’art. 53 d.lgs. n. 165 del 2001 e dall’art. 60 testo unico n. 3/57 concerne il concreto esercizio della professione forense.

La sentenza

Secondo la Corte il primo motivo è infondato. Infatti, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione ex art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, in conformità con il principio del giusto procedimento, assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare (cfr. Cass. n. 7134 del 2017 e n. 6989 del 2018).

Nel caso in esame, la Corte territoriale ha evidenziato che, dalla sequenza dei fatti e dal tenore delle richieste avanzate dal Comune, alla data indicata dal ricorrente (dicembre 2013) ancora non era chiara la sua posizione, sussistendo dubbi circa l’effettiva situazione di incompatibilità, e che elementi sufficienti a consentire la formulazione della contestazione si ebbero solo con la risposta fornita dall’interessato in data 11 maggio 2015. Tale ostruzione del momento di acquisizione della notizia qualificata dell’infrazione è stata condotta dal giudice di merito con motivazione congrua e immune da vizi.

Il secondo motivo introduce un tema privo di decisività, poiché tanto la contestazione disciplinare quanto la lettera di licenziamento attenevano, come evidenziato dalla Corte di appello, alla falsa dichiarazione da parte del ricorrente in sede di assunzione presso il Comune, in merito alla inesistenza di cause di incompatibilità con lo status di dipendente e di tale falsa attestazione il ricorrente non poteva non essere consapevole proprio in ragione della inesistenza, all’epoca dell’assunzione (settembre 2012), della cancellazione dall’albo degli avvocati e dall’effettivo esercizio dell’attività professionale (pure ritenuta comprovata in giudizio).

Da ultimo la Corte evidenzia che la sentenza impugnata ha evidenziato come il permanere dell’iscrizione all’albo degli avvocati lasciasse presumere l’esercizio della professione forense con connotazione di abitualità e che dirimenti fossero anche le risultanze istruttorie, che avevano evidenziato come il ricorrente avesse continuato a curare cause innanzi all’autorità giudiziaria negli anni successivi al 2012.

Peraltro, il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 53 (Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi) dispone, al comma 1, che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e seguenti del testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall’articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dal D.P.C.M. 17 marzo 1989, n. 117, art. 6, comma 2, e dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 57 e seguenti. Restano ferme altresì le disposizioni di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 267, comma 1, artt. 273, 274, 508 nonché art. 676, alla L. 23 dicembre 1992, n. 498, art. 9, commi 1 e 2, alla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 7, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina.

La norma dettata dal richiamato art 53, comma 1, ha sancito una vera e propria estensione a tutti i dipendenti pubblici, contrattualizzati e non, compresi quelli per i quali vigeva in precedenza una disciplina speciale (quali i dipendenti degli enti del parastato L. n. 70 del 1975, ex art. 8), della disciplina delle incompatibilità dettata dal testo unico degli impiegati civili dello Stato agli artt. 60 e seguenti. La stessa norma, poi, ha fatto salve le disposizioni speciali in materia di incompatibilità già vigenti per il personale docente, direttivo e ispettivo della scuola, per il personale docente dei conservatori di musica, per il personale degli enti lirici e del servizio sanitario nazionale, nonché per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale. Dunque, l’art. 53 cit. ha ribadito il generale principio dell’incompatibilità, sancito per i dipendenti statali (e degli enti pubblici non economici), con riferimento a tutti i pubblici dipendenti.

Il ricorso è dunque rigettato.


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