Nel procedimento disciplinare, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio con l’incolpato, non è sufficiente fermarsi all’audizione o acquisizione acritica delle deduzioni scritte dell’incolpato, ma va condotta una completa valutazione delle circostanze e dei fatti alla luce degli apporti partecipativi che deve emergere dalla motivazione del provvedimento finale.

Tar Molise, sez. I, sentenza 12 dicembre 2017, n. 529, Presidente Silvestri, Estensore Ciliberti

A margine

Il fatto – Un dipendente delle forze dell’ordine impugna davanti al Tar, chiedendone l’annullamento, vari provvedimenti disciplinari a lui inflitti per aver tenuto comportamenti scorretti nei confronti del proprio Dirigente.

La sentenza – Il Tar ricorda che il diritto di difesa, all’interno del procedimento disciplinare, non ha un’applicazione piena (non è cioè paragonabile al diritto di difesa nel processo penale) ma l’onere della prova a carico della parte offesa non può comunque essere del tutto obliterato.

Infatti, per principio generale, l’onere della prova, sia sul piano sostanziale sia su quello processuale, spetta a colui che avanza una pretesa o una domanda, per cui, anche nel procedimento disciplinare, è ineludibile la necessità che vi sia un adeguato riscontro probatorio circa l’addebitabilità dei fatti all’incolpato (Cons. St., sez. III, 12 settembre 2016, n. 3843).

Ciò posto, nel caso esaminato, la prova del fatto contestato è tratta esclusivamente dalle dichiarazioni della parte offesa dalla condotta ritenuta violativa delle regole disciplinari. Mutuando utili suggerimenti dalla giurisprudenza penale, il Tar ritiene quindi che le dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente poste – da sole e in assenza di riscontri oggettivi esterni – a base dell´affermazione di responsabilità dell´incolpato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva e dell´attendibilità intrinseca del racconto (Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2011, n. 44644; id., sez. III, 3 maggio 2011, n. 28913). Il vaglio positivo dell´attendibilità del dichiarante deve essere penetrante e rigoroso, più di quanto non lo sia quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, talché la deposizione della persona offesa può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se sottoposta al riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva.

Ad avviso del Tar, nel caso in esame, prima dell’irrogazione della sanzione, non è stato riconosciuto il dovuto contraddittorio all’interessato né sono stati uditi testimoni a comprova del suo comportamento ingiurioso verso il superiore, né la parte offesa ha dimostrato adeguatamente l’attendibilità delle proprie doglianze nei confronti dello stesso.

Conclusioni – Il Tar ricorda la distinzione tra il principio del giusto procedimento (mutuato dal sistema anglosassone del “due process of law”), che vale essenzialmente per i procedimenti e i provvedimenti che producono effetti restrittivi della sfera giuridica soggettiva dei cittadini, ed il principio di partecipazione, avente un ambito di applicazione più ampio, che assegna agli intervenienti nel procedimento un ruolo collaborativo riferito alla completezza della fase istruttoria e al miglioramento dei risultati della funzione. In tal senso anche l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE ha ben definito il contenuto sostanziale rappresentato dal rispetto del diritto “di ogni individuo – nei confronti delle istituzioni – di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”.

Di qui il basilare principio, sostanziale e processuale, del diritto dell’incolpato di potersi difendere, venendo sentito o producendo prove e documenti, prima che l’organo titolare di potestà sanzionatoria adotti misure afflittive. Nello stesso senso, secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il diritto di difesa “impone che i destinatari di decisioni che pregiudichino in maniera sensibile i loro interessi siano messi in condizione di far conoscere utilmente il loro punto di vista” (Corte di giustizia, sentenza 24 ottobre 1996, C-32/95 P., Commissione Comunità europea c. Lisrestal).

Pertanto, il rispetto di tale regola non può esaurirsi nel passaggio formale dell’audizione o nell’acquisizione acritica delle deduzioni scritte dell’incolpato, ma deve integrare una completa valutazione delle circostanze e dei fatti alla luce degli apporti partecipativi, valutazione che deve altresì emergere dalla motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare.

di Simonetta Fabris

 

 

 


Stampa articolo