IN POCHE PAROLE …

In continuità con altri provvedimenti, il  Governo ripropone con il decreto – legge n. 123/2023 , convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023 n. 159, la tecnica di ampliamento delle fattispecie e di inasprimento sanzionatorio ‘a rilascio progressivo’, come dimostrano le variazioni sul tema intervenute negli ultimi anni, con i vari «pacchetti sicurezza».

d.l. 15 settembre 2023 n. 123

L. 13 novembre 2023 n. 159


Con il d.l. 15 settembre 2023 n.123 recante “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale” (c.d. decreto “Caivano”, pubblicato in pari data sulla Gazzetta Ufficiale n.216) sono state previste misure urgenti per il contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile.

Il decreto governativo è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023 n.159, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.266 del 14 novembre 2023.

Le novità di maggiore interesse si registrano in materia di misure cautelari e sul processo penale a carico di imputati minorenni, ma soprattutto con riferimento alle cc.dd. misure di prevenzione atipiche, sia monitorie (ammonimento) che finalizzate al contrasto alle baby gang (daspo urbano, divieto di ritorno e rimpatrio con foglio di via).

Il provvedimento reca, altresì, norme per il risanamento e la riqualificazione del territorio del Comune di Caivano e per favorire lo sviluppo economico e sociale dell’area.

Daspo urbano

L’art.3 del decreto, rubricato “disposizioni in materia di misure di prevenzione a tutela della sicurezza pubblica e della sicurezza della città” modifica gli artt.10, 13 e 13 bis del d.l. 20 febbraio 2017 n.14, convertito con modificazioni dalla legge 18 aprile 2017 n.48, nonché gli artt.2 e 76 del d.lgs. 6 settembre 2011 n.159

Art.10 Divieto di accesso

1. L’ordine di allontanamento di cui all’art.9, comma 1, secondo periodo e comma 2, è rivolto per iscritto dall’organo accertatore, individuato ai sensi dell’art.13 della legge 24 novembre 1981, n.689. In esso sono riportate le motivazioni sulla base delle quali è stato adottato ed è specificato che ne cessa l’efficacia trascorse quarantotto ore dall’accertamento del fatto e che la sua violazione è soggetta alla sanzione amministrativa pecuniaria applicata ai sensi dell’art.9, comma 1, aumentata del doppio. Copia del provvedimento è trasmessa con immediatezza al questore competente per territorio con contestuale segnalazione ai competenti servizi socio-sanitari, ove ne ricorrano le condizioni.

2. Nei casi di reiterazione delle condotte di cui all’art.9, commi 1 e 2, il questore, qualora dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza, può disporre, con provvedimento motivato, per un periodo non superiore a sei mesi, il divieto di accesso ad una o più delle aree di cui all’art.9, espressamente specificate nel provvedimento, individuando, altresì, modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell’atto. Il contravventore al divieto di cui al presente comma è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno.

3. La durata del divieto di cui al comma 2 non può comunque essere inferiore a sei mesi, né superiore a due anni, qualora le condotte di cui all’art.9, commi 1 e 2, risultino commesse da soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio. Il contravventore al divieto emesso in relazione ai casi di cui presente comma è punito con l’arresto da uno a due anni. Qualora il responsabile sia soggetto minorenne, il questore ne dà notizia al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.

4. I divieti di cui ai commi 1, 2 e 3 possono essere disposti anche nei confronti di soggetti minori di diciotto anni che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età. Il provvedimento è notificato a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale e comunicato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni competente per il luogo di residenza del minore.

5. Nei casi di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nei luoghi o nelle aree di cui all’art.9, la concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere a luoghi o aree specificamente individuati.

6. Ai fini dell’applicazione del presente articolo e dell’art.9, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell’interno determina i criteri generali volti a favorire il rafforzamento della cooperazione, informativa ed operativa, e l’accesso alle banche dati,  tra  le  Forze  di polizia, di cui all’art.16 della legge 1º aprile 1981, n.121, e i Corpi e servizi di  polizia  municipale,  nell’ambito  delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

6-bis. Con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti i livelli di accesso alle banche dati di cui al comma 6, anche al fine di assicurare il rispetto della clausola di invarianza finanziaria di cui al medesimo comma 6.

6-ter. Le disposizioni di cui ai commi 1-ter e 1-quater dell’art 8 della legge 13 dicembre 1989, n.401, hanno efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

6-quater. Nel caso di reati commessi con violenza  alle  persone  o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in  occasioni pubbliche, per i quali è obbligatorio l’arresto ai  sensi dell’art.380 del codice di procedura penale, quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera  comunque  in  stato  di  flagranza  ai  sensi dell’art.382 del medesimo codice colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che  l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla  sua  identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto.

In particolare, l’art.3 co.1, lett.a) del d.l. n.123 del 2023 è intervenuto sul divieto di accesso disciplinato dall’art. 10 del D.L. n. 14 del 2017, andando a eliminare la procedura di convalida da parte dell’A.G. prevista dalla precedente formulazione normativa per l’ipotesi “aggravata” (art. 10, co.3 e 4, d.l. n.14 del 2017). In effetti, in questo caso la maggiore incisività della misura è data unicamente dall’aumento del suo termine di durata, e non dall’applicazione di ulteriori prescrizioni che gravino sulla libertà personale del destinatario, come accade per il D.A.Spo. di cui all’art.6 della legge n.401/1989 o per i divieti di accesso di cui agli artt.13 e 13-bis del d.l. n.14 del 2017.

Pertanto, in presenza dei presupposti di cui all’art.10, comma 3 ((soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio), il Questore potrà applicare il divieto in argomento per una durata compresa tra dodici mesi e due anni, senza richiedere la convalida all’A.G..

L’art.3 co.1 lett.a) del d.l. n.123 del 2023 ha chiarito definitivamente l’applicabilità della misura di prevenzione in esame anche ai minorenni ultraquattordicenni.

E’ stata estesa l’applicabilità del cosiddetto “daspo urbano” (divieto di accesso a particolari aree della città) ai maggiori di 14 anni. Il divieto sarà notificato a chi esercita la responsabilità genitoriale e comunicato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni competente per il luogo di residenza del minore. In sede di conversione del decreto è stato opportunamente espunto il riferimento al Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie, contemplato nel progetto di riforma della giustizia civile ma di fatto attualmente non operativo.

Va osservato, peraltro, che a differenza di quanto finora previsto per le classiche misure di prevenzione personali (sorveglianza speciale di P.S., rimpatrio con foglio di via obbligatorio, avviso orale), misure di prevenzione cc.dd. atipiche come l’ammonimento per cyberbullismo già prevedono l’applicazione dello strumento nei confronti dei minorenni, con la notifica operata nei confronti dell’esercente la potestà genitoriale.

Art.13. Ulteriori misure di contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti all’interno o in prossimità di locali pubblici o aperti al pubblico e di pubblici esercizi

  1. “Nei confronti delle persone che abbiano riportato una o più denunzie o siano state condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi tre anni per i delitti di cui all’articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309 per fatti commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di scuole, plessi scolastici, sedi universitarie,  locali  pubblici  o aperti al pubblico, ovvero  in  uno  dei  pubblici esercizi  di cui all’articolo 5 della legge 25 agosto 1991, n.287, il Questore, valutati gli elementi derivanti dai provvedimenti dell’Autorità giudiziaria e sulla  base degli accertamenti di polizia, può disporre, per ragioni di sicurezza, il divieto di accesso agli stessi locali o a esercizi analoghi, specificamente  indicati, ovvero di stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi locali od esercizi o dei predetti scuole, plessi scolastici e sedi universitarie”.
  1. Il divieto di cui al comma 1 non può avere durata inferiore ad un anno, né superiore a cinque. Il divieto è disposto individuando modalità applicative compatibili con le esigenze di mobilità, salute, lavoro e studio del destinatario dell’atto.
  1. Nei casi di cui al comma 1, il questore, quando ricorrano specifiche ragioni di pericolosità può altresì disporre, per la durata massima di due anni, una o più delle seguenti misure:a) obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della Polizia di Stato o presso il comando dell’Arma dei carabinieri territorialmente competente; obbligo di rientrare nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata; b) divieto di allontanarsi dal comune di residenza; c) obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici.
  2. In relazione al provvedimento di cui al comma 3 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art.6, commi 2 -bis, 3 e 4, della legge 13 dicembre 1989, n.401.
  1. I divieti di cui al comma 1 possono essere disposti anche nei confronti di soggetti minori di diciotto anni che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età. Il provvedimento è notificato a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale.
  1. La violazione di divieti e delle prescrizioni di cui ai commi 1 e 3 è punita con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 10.000 a 24.000 euro
  1. Nei casi di condanna per i reati di cui al comma 1 commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di locali pubblici o aperti al pubblico, ovvero in uno dei pubblici esercizi di cui all’art.5 della legge 25 agosto 1991, n.287, la concessione della sospensione condizionale della pena è sempre subordinata all’imposizione del divieto di accedere in locali pubblici o pubblici esercizi specificamente individuati.

Per contrastare lo spaccio di sostanze stupefacenti è stabilito che il divieto di accesso e di avvicinamento ai locali pubblici e ai pubblici esercizi, previsto per chi sia stato denunciato o condannato per vendita o cessione di droga, si applichi anche nei confronti di chi detenga sostanze stupefacenti ai fini dello spaccio.

Tale divieto è esteso alle immediate vicinanze di tutti i luoghi di spaccio individuati dal comma 1 (scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico, pubblici esercizi), anziché ai soli “locali o esercizi analoghi”, come disposto nel precedente testo normativo.

Più specificamente, oltre a poter inibire sia l’accesso che lo stazionamento nelle immediate vicinanze dei locali e/o esercizi pubblici individuati dalla prima parte del comma 1, con la nuova disposizione il Questore potrà interdire altresì lo stazionamento nelle immediate vicinanze di scuole, plessi scolastici e sedi universitarie (ma non anche l’accesso a questi ultimi luoghi).

Sul diverso versante dei reati-presupposto, il riferimento ai ‘delitti di cui all’articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309’ consente di includere tutte le fattispecie contemplate da tale norma, e non più solo ‘la vendita, o la cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope ‘, come previsto dalla precedente formulazione della norma, che induceva a considerare escluse dal novero delle condotte-presupposto, ad esempio, la detenzione ai fini di spaccio.

Per quanto concerne la possibilità, per il Questore, di applicare le prescrizioni aggiuntive contemplate dal comma 3, l’art.3 co.1 lett.b) del d.l. n.123 del 2023 ha eliminato il requisito soggettivo della condanna negli ultimi tre anni con sentenza definitiva a carico del destinatario, richiedendosi unicamente che ‘ricorrano specifiche ragioni di pericolosità’, da evidenziare adeguatamente nella motivazione del provvedimento.

Di fatto, vengono così ampliati i casi nei quali il Questore può disporre altre misure accessorie (per esempio l’obbligo di presentarsi all’ufficio di polizia almeno due volte a settimana, o in determinati giorni e orari, l’obbligo di rientrare alla dimora e non uscire entro determinati orari, il divieto di allontanarsi dal comune).

Resta ferma, solo in caso di applicazione delle prescrizioni, la procedura di convalida da parte dell’A.G.  Infine, la sanzione penale prevista per la violazione della misura è stata inasprita, applicandosi la reclusione da uno a tre anni e la multa da 10.000 euro a 24.000 euro.

Rimosso in sede di conversione del decreto il riferimento alla mera facoltatività, la concessione della sospensione condizionale della pena nei casi di condanna è ‘sempre’ subordinata all’imposizione del divieto di accedere in locali pubblici o pubblici esercizi specificamente individuati.

“Art.13-bisDisposizioni per la prevenzione di disordini negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento.

  1. Fuori dei casi di cui all’articolo 13, il questore può disporre per ragioni di sicurezza, nei confronti delle persone denunciate, negli ultimi tre anni per reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti in pubblici esercizi ovvero in locali di pubblico trattenimento ovvero nelle immediate vicinanze degli stessi, o per delitti non colposi contro la persona e il patrimonio ovvero aggravati ai sensi dell’art.604-ter del codice penale, oppure per i reati di cui all’articolo 4 della legge 18 aprile 1975, n.110, o per i reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale, qualora dalla condotta possa derivare un pericolo per la sicurezza, il Questore può disporre il divieto di accesso a pubblici esercizi o locali  di  pubblico   trattenimento   specificamente individuati in ragione dei  luoghi  in  cui  sono  stati  commessi  i predetti reati ovvero delle persone con  le  quali  l’interessato  si associa, specificamente indicati. Il Questore può altresì disporre, per motivi di sicurezza, la misura di cui al presente comma anche nei confronti dei soggetti condannati, anche con sentenza non definitiva, per taluno dei predetti reati.

1-bis. Il Questore può disporre il divieto di accesso ai pubblici esercizi o ai locali di pubblico trattenimento presenti nel territorio dell’intera provincia nei confronti delle persone che, per i reati di cui al comma 1, sono state poste in stato di arresto o di fermo convalidato dall’autorità giudiziaria o sottoposte a una delle misure cautelari di cui agli articoli 284 e 285 del codice di procedura penale, ovvero condannate, anche con sentenza non definitiva.

1-ter. In ogni caso, la misura disposta dal Questore, ai sensi dei commi 1 e 1-bis, ricomprende anche il divieto di stazionamento nelle immediate vicinanze dei pubblici esercizi e dei locali di pubblico trattenimento ai quali è vietato l’accesso.

  1. Il divieto di cui ai commi 1 e 1 bis può essere limitato a specifiche fasce orarie e non può avere una durata inferiore a un anno né superiore a tre anni Il divieto è disposto, con provvedimento motivato, individuando comunque modalità applicative compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell’atto.
  1. Il divieto di cui ai commi 1 e 1 bis può essere disposto anche nei confronti di soggetti minori di diciotto anni che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età. Il provvedimento è notificato a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale.
  2. Il questore può prescrivere, per la durata massima di due anni, alle persone alle quali è notificato il divieto previsto dai commi 1 e 1 bis di comparire personalmente una o più volte, negli orari indicati, nell’ufficio o comando di polizia competente in relazione al luogo di residenza dell’obbligato o in quello specificamente indicato.
  1. In relazione al provvedimento di cui al comma 4 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 6, commi 3 e 4, della legge 13 dicembre 1989, n. 401.

In materia di prevenzione di disordini negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento, il divieto di accesso a pubblici esercizi e locali di pubblico trattenimento (il cosiddetto “daspo Willy” contro la movida violenta) può essere applicato ai soggetti denunciati, oltre che per i reati contro la persona e il patrimonio, anche per il reato di porto di arma impropria, quello di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e il reato di resistenza a un pubblico ufficiale.

Si amplia la platea dei soggetti nei confronti dei quali il Questore può disporre tale divieto: oltre che nei confronti delle persone poste in stato di arresto o fermo convalidato dall’autorità giudiziaria, o condannate anche con sentenza non definitiva, la misura può essere applicata alle persone sottoposte alla misura cautelare degli arresti domiciliari o della custodia cautelare in carcere.

La durata della misura è aumentata dal minimo di 6 mesi e massimo di 2 anni si è passati ad una durata minima di 1 anno e massima di 3 anni, mentre per le prescrizioni aggiuntive applicabili dal Questore e soggette alla convalida dell’A.G. è stato introdotto un termine di durata massima di due anni.

Infine, la sanzione penale prevista per la violazione della misura è stata inasprita, applicandosi, per chi infrange tali divieti, la reclusione da uno a tre anni e la multa da 10.000 euro a 24.000 euro.

Foglio di via obbligatorio

Il foglio di via obbligatorio è una misura adottata dal Questore nei confronti di quei soggetti che, secondo alcuni parametri, sono da ritenersi socialmente pericolosi e che, non avendo un legame con uno specifico territorio dove sono stati sorpresi a delinquere, sono diffidati a lasciarlo con l’obbligo di non farvi rientro per un periodo non superiore a tre anni e di presentarsi all’Autorità di P.S. del luogo ove risiedono o dimorano. Si tratta di una misura amministrativa ablatoria, prevista nell’ordinamento italiano prima ancora della Costituzione, con finalità preventive (e di fatto sanzionatorie) nei riguardi delle persone pericolose per l’ordine e la sicurezza pubblica. Appartiene alla categoria degli ordini, con i quali la Pubblica Amministrazione (in questo caso l’Amministrazione della P.S.), sulla base della potestà di supremazia generale, può far sorgere, a carico di qualsiasi soggetto, un dovere di condotta positivo (comando) o negativo (divieto) o addirittura avente, come nel caso in esame, entrambe le caratteristiche.

Non serve l’appartenenza del destinatario a una qualche predefinita categoria di soggetti (militari, pubblici impiegati, studenti di istituti di pubblica istruzione), tra i quali e la P.A. sussista un qualche rapporto giuridico formale e nell’ambito del quale la possibilità di intervenire, con strutture sanzionatorie, costituisce la normale integrazione della potestà.

Questa classificazione di ordini, fondati invece sulla supremazia generale, è comune in materia di pubblica sicurezza, e può consistere sia nella potestà di emanare atti generali, diretti a destinatari indeterminati (si pensi alle ordinanze) oppure in atti amministrativi indirizzati a uno o più soggetti determinati, come nel caso in esame.

Tali provvedimenti, che incidono sulla libertà individuale ed in particolare sulla libertà di circolazione, conseguono all’adozione di una scelta discrezionale dell’autorità dotata della relativa potestà; dalla loro inosservanza possono conseguire (e generalmente conseguono) anche sanzioni penali.

Il contenuto del provvedimento era originariamente duplice: da un lato, l’ordine (comando) di rimpatrio, dall’altro il divieto di fare rientro nel territorio da cui il soggetto è allontanato.

Con la modifica dell’art.2 del d.lgs. n.159 del 2011 scompare il c.d. rimpatrio, viene aumentata di un anno la durata massima del divieto di rientro nei comuni dai quali si è stati allontanati e si inasprisce la sanzione, nei casi di violazione del provvedimento di allontanamento.

Art.2 – Foglio di via obbligatorio

  1. Qualora le persone indicate nell’articolo 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino in un comune diverso dai luoghi di residenza o di dimora abituale, il questore, con provvedimento motivato, può ordinare loro di lasciare il territorio del medesimo comune entro un termine non superiore a quarantotto ore, inibendo di farvi ritorno, senza preventiva autorizzazione, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a quattro anni. Il provvedimento è efficace nella sola parte in cui dispone il divieto di ritorno nel comune, nel caso in cui, al momento della notifica, l’interessato abbia già lasciato il territorio del comune dal quale il questore ha disposto l’allontanamento.

La misura di prevenzione disciplinata dall’art. 2 del D. Lgs. n. 159/2011 resta applicabile ai soggetti pericolosi di cui all’art. 1 dello stesso decreto (cc.dd. “pericolosi generici”), che si trovino in un comune diverso dai luoghi di residenza o di dimora abituale. La necessità di accertare che il soggetto si trovi in un comune diverso dai luoghi di residenza o dimora abituale induce a ritenere che la misura di prevenzione in esame, anche nella nuova configurazione normativa, resti inapplicabile ai soggetti senza fissa dimora. Di contro – ed in presenza del comune presupposto della pericolosità sociale – va evidenziato il rischio di un’evidente disparità di trattamento tra il soggetto che risulta residente in un determinato comune, al quale si potrebbe comminare il provvedimento interdittivo, e colui che una fissa dimora non la possiede e pertanto sarebbe per ciò solo ‘sottratto’ alla possibile comminatoria di una misura di prevenzione, pur ricorrendone i profili di pericolosità.

La nuova formulazione dell’art.2 del d.lgs. n.159 del 2011 non prevede più l’ordine di ‘rimpatrio’ con foglio di via obbligatorio nel luogo di residenza, che viene sostituito da un ordine di lasciare il territorio del comune entro un congruo termine, stabilito dal Questore, comunque non superiore a quarantotto ore. Conseguentemente, al destinatario del provvedimento non dovrà più essere rivolto l’ordine di presentarsi all’Autorità di P.S. del luogo di residenza, né dovrà essere compilato e rilasciato il modulo relativo al “foglio di via obbligatorio”.

Resta fermo il divieto di ritorno, senza preventiva autorizzazione, nel comune dal quale è stato disposto l’allontanamento, la cui durata viene portata a sei mesi nel minimo e quattro anni nel massimo.

L’ultimo periodo della norma in argomento fa salva l’efficacia del provvedimento nella parte in cui dispone il divieto di ritorno nel comune, nel caso in cui, al momento della notifica, l’interessato se ne sia già allontanato.

Le modifiche introdotte rispetto al precedente enunciato sono significative:

  • per l’operatività dell’ordine a lasciare il territorio con divieto di farvi ritorno non è ulteriormente richiesto il c.d. rimpatrio nei luoghi di residenza che il precedente enunciato stabiliva per i soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica. Per effetto di questa modifica, la misura perde l’ordinaria connotazione di atto a contenuto composito, caratterizzato dall’ingiunzione a lasciare il comune nel quale è stato sorpreso e a non farvi rientro senza preventiva autorizzazione – provvedimento ablatorio personale a contenuto ordinatorio, che assume la forma del decreto – e dall’ordine di rimpatrio nel comune di provenienza e disciplinante le modalità del rimpatrio attraverso l’indicazione di un itinerario prestabilito e l’obbligo di presentazione all’autorità locale di p.s. del luogo effettivo di residenza del rimpatriato – atto consequenziale non necessitante di motivazione.
  • il divieto di ritorno, così rivisto, ha una durata minima di sei mesi;
  • la durata massima della misura è stata aumentata fino a quattro anni rispetto ai tre del precedente enunciato;
  • le violazioni della misura, dapprima sanzionate congiuntamente e in termini contravvenzionali ai sensi dell’art.163 Tulps (“le persone rimpatriate con foglio di via obbligatorio non possono allontanarsi dall’itinerario ad esse tracciato. Nel caso di trasgressione esse sono punite con l’arresto da uno a sei mesi. Scontata la pena, sono fatte proseguire per traduzione. La stessa pena si applica alle persone che non si presentano, nel termine prescritto, all’autorità di pubblica sicurezza indicata nel foglio di via”) e dell’art.76 co.3 del d.lgs. n.159 del 2011, sono ora punite solo da quest’ultima norma – quale fattispecie delittuosa – con la reclusione da sei a diciotto mesi e con la multa fino a 10.000 euro ed un sensibile aumento nel minimo (che passa da 1 a 6 mesi) e nel massimo (che passa da 6 a 18 mesi);
  • perdono rilevanza le questioni inerenti la possibilità o meno di disporre la misura soltanto nei confronti di coloro che si trovino “fuori dei luoghi di residenza”, in quanto l’enunciato attuale prevede l’operatività del divieto di ritorno per chiunque si trovi in un “comune diverso dai luoghi di residenza o di dimora abituale”;
  • non trova ulteriore applicazione l’art.163 TULPS, con riferimento al divieto di allontanarsi dall’itinerario tracciato nel provvedimento per il c.d. “rimpatrio”, ora non più previsto;
  • il provvedimento mantiene la sua efficacia “nella sola parte in cui dispone il divieto di ritorno nel comune”, “nel caso in cui, al momento della notifica, l’interessato abbia già lasciato il territorio del comune dal quale il questore ha disposto l’allontanamento”.

La misura deve, pertanto, riportare:

  • l’ordine di allontanarsi dal territorio in cui la persona è stata trovata, diverso da dai luoghi di residenza o di dimora abituale
  • l’inibizione – ordine a non farvi ritorno, senza preventiva autorizzazione:
  • il termine di durata del divieto, che non può essere inferiore a sei mesi e superiore a quattro anni.

Ai fini della legittimità del provvedimento non è sufficiente l’appartenenza del destinatario ad una delle tipologie di autore previste dalla legge (art.1 d.lgs. n.159 del 2011), essendo imposto l’ulteriore requisito del pericolo per la sicurezza pubblica. Il pericolo deve essere connotato da attualità, pertanto gli episodi che fondano la misura devono essere recenti, ravvicinati nel tempo.

Il provvedimento deve essere adeguatamente motivato, con l’indicazione di quegli elementi fattuali ed obiettivi – fatti e comportamenti di obiettiva consistenza, come precedenti penali e di polizia del proposto, il suo tenore di vita, le sue abituali frequentazioni, eventuali vincoli di parentela di rilievo, precedenti misure di prevenzione, ecc. – che consentano di dedurre (anche se solo in via presuntiva);

  1. l’appartenenza della persona alle categorie di cui all’art.1 d.lgs. n.159 del 2011, con espressa indicazione della categoria di soggetti pericolosi alla quale l’individuo appartenga, facendo riferimento alla specifica lettera di cui all’art.1 del d.lgs. n.159 del 2011;
  2. la pericolosità attuale della persona per la sicurezza pubblica, valutazione da operarsi secondo i parametri di massima informati all’applicazione della sorveglianza speciale di P.S.;
  3. la presenza della persona fuori dal luogo di residenza, inteso non come il luogo necessariamente di residenza anagrafica ma come il luogo di residenza effettiva, nel senso di dimora abituale

Il secondo dei presupposti indicati è necessario a dimostrare, ai fini di una legittima applicazione del rimpatrio, la pericolosità attuale ed effettiva per la sicurezza pubblica della persona proposta. Secondo autorevole dottrina (Guerini-Mazza-Riondato), con questa ulteriore specificazione il legislatore ha inteso rimarcare l’insufficienza del criterio di mera appartenenza ad una delle categorie personologiche di cui all’art.1 del d.lgs. n.159 del 2011: la pericolosità per la sicurezza pubblica assurge, quindi, a condizione ulteriore e, in un certo senso, ‘supplementare’ rispetto al primo presupposto. Occorre, pertanto, ai fini dell’irrogazione della misura, ‘un quid pluris sotto il profilo del quoziente di pericolosità, rispetto al riferimento al grado di pericolosità soggettiva scaturente dall’appartenenza del soggetto alle categorie di pericolosità soggettiva scaturente dall’appartenenza del soggetto alle categorie di persone indicate dalla legge quali possibili destinatari del provvedimento’.

Sul punto, la nozione di ‘pericolosità per la sicurezza pubblica’ è stata ricavata dal concetto, costituzionalmente orientato, di sicurezza pubblica intesa come ‘complesso delle condizioni che garantiscono il rispetto di certe leggi fondamentali, che attengono alla vita dello Stato, alla vita ed all’incolumità dei cittadini, alla salvaguardia dei beni pubblici e privati’ (Nuvolone).

Ne discende, perciò, che pericolosi per la sicurezza pubblica sono quei soggetti, appartenenti alle categorie indicate nell’art.1 del codice antimafia, che, “in rapporto al loro sistema di vita e alle relazioni con ambienti della malavita, appaiono come possibili centri motori di azioni criminali che, andando oltre la condotta individuale, mettono in pericolo le basi fondamentali della convivenza e tolgono alla polizia le normali possibilità di controllo e prevenzione”.

Un orientamento dottrinale minoritario ha, di converso, ritenuto che la pericolosità del soggetto sia conseguenza della dimostrata appartenenza a una delle cennate categorie legali, senza bisogno di ulteriori requisiti (Casalinuovo).

Il foglio di via obbligatorio non presuppone la commissione di un fatto di reato o di quasi reato, ma solamente la presenza di una serie di elementi indiziari dai quali possa evidenziarsi che la persona risulti pericolosa per il bene della sicurezza pubblica. La ragione giustificatrice di questa misura con finalità special-preventive è infatti quella di fronteggiare la compromissione del bene sopra ricordato, assegnando allo Stato il ruolo di garante dell’ordinato e pacifico svolgersi delle relazioni civili, costituendo quindi un mezzo diretto a prevenire i reati piuttosto che a reprimerli.

Peraltro, la funzione di prevenzione che ispira la misura in esame determina la giurisprudenza a non esigere la sussistenza di prove della commissione di reati e a valutare legittimo il provvedimento che sia fondato su elementi di mero sospetto ovvero su semplici indizi (TAR Lombardia, sez.III, 9 febbraio 2010).

La questione (risolta) della necessaria coesistenza del ‘rimpatrio’ e del ‘divieto di ritorno’

Il venir meno del c.d. rimpatrio nel luogo di effettiva residenza o dimora abituale ha ‘risolto la questione che relative alla necessaria (o meno) coesistenza del rimpatrio e del divieto di ritorno, sollevata dinanzi ai giudici amministrativi per i provvedimenti adottati nei confronti dei cc.dd. ‘senza fissa dimora’, ai quali per ovvie ragioni veniva imposto il solo divieto di ritorno e non anche il c.d. rimpatrio nel comune di provenienza

Ciò costituiva motivo di ricorso fondato sul fatto che l’art.2 prevedeva la consegna di entrambi i provvedimenti al soggetto (“provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio”) ed in forza dei principi di legalità e tassatività, ritenendosi necessaria per il dispiego degli effetti la loro contestuale presenza, laddove l’assenza o l’inefficacia dell’uno avrebbe dovuto comportare la caducazione dell’altro, secondo il principio per cui simul stabunt, simul cadent.

Di contro, si è osservato che il foglio di via obbligatorio si compone o può comporsi di due elementi (o prescrizioni) indipendenti, l’ordine di allontanamento e l’obbligo di rimpatrio.  “Il contenuto primario del foglio di via obbligatorio è costituito dal divieto fatto al soggetto di ritornare, senza autorizzazione, in un dato Comune dove egli non è residente e dal quale viene allontanato. Può accedere all’ordine di allontanamento – ma non necessariamente – anche l’ordine di rientrare nel luogo di residenza, là dove lo suggeriscano ragioni di opportunità ed esso sia, naturalmente, esistente e noto” (cfr. Cass. pen., sez.I, sentenza n.46257 del 28 novembre 2012, rv. 253966; Cass., sez.I, sentenza n.29694 del 7 giugno 2012, rv. 253069; Cass. pen., sentenza 24 luglio 2013 n.32152). Su queste basi, nessuna illegittimità avrebbe dovuto ravvisarsi nel provvedimento amministrativo, in quanto il secondo atto, ossia il foglio di rimpatrio, poteva legittimamente mancare (si pensi ai casi in cui il destinatario del primo sia soggetto privo di fissa dimora o in via di cancellazione per irreperibilità nella propria sede anagrafica: cfr. Cass. pen., sentenza 24 luglio 2013 n.32152), con la conseguente possibilità di emettere un divieto di ritorno senza indicare il comune di residenza ovvero il domicilio dove il soggetto allontanato avrebbe dovuto trasferirsi e quindi senza emanare contestualmente il c.d. rimpatrio con foglio di via obbligatorio.

Diverso avviso è stato manifestato dalla medesima Suprema Corte, secondo cui “la legittima emissione del provvedimento da parte del questore postula la sussistenza di una duplicità di condizioni, che devono ricorrere entrambe in modo congiunto (come fatto palese dall’uso della congiunzione ‘e’), rappresentate, da un lato, dal giudizio di pericolosità che deve essere formulato nei confronti della persona appartenente a una delle categorie indicate nel precedente art.1, e, dall’altro, dal dato di fatto che la persona si trovi fuori del luogo di residenza; in modo analogo, il contenuto del provvedimento, che rende l’atto amministrativo conforme alla fattispecie tipica descritta dalla legge, deve prevedere, quale presupposto necessario (e non già eventuale o alternativo) del divieto di rientro della persona (in difetto di autorizzazione, o prima del termine imposto) nel comune dal quale viene allontanata, l’ordine di fare ritorno nel luogo di residenza con foglio di via obbligatorio. L’accertamento che la persona si trova in luogo diverso da quello di residenza e l’ordine conseguente di farvi rientro costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili della legittima emissione della contestuale inibitoria, rivolta al medesimo soggetto, di fare ritorno nel luogo dal quale viene allontanato”.

Da ciò discendeva che l’assenza nel provvedimento del questore del suddetto accertamento e del conseguente ordine di rimpatrio rende l’atto amministrativo difforme dalla fattispecie tipica e carente di uno degli elementi essenziali previsti dall’art. 2 d.lgs. n. 159 del 2011, la cui mancanza è idonea a produrre la nullità dell’atto prevista dall’art.21 septies della legge n.241 del 1990 sul procedimento amministrativo” (così Cass. pen., sez.I n.4074 del 28 gennaio 2019. Il caso deciso dal giudice di legittimità concerneva un provvedimento con il quale il Questore aveva disposto l’allontanamento di un soggetto senza fissa dimora dal territorio di un Comune per la durata di anni tre, non accompagnato dalla contestuale intimazione di fare rientro nel luogo di residenza.

La Suprema Corte ha ritenuto insussistente il reato di cui all’art.76, comma 3, D.lgs. n.159 del 2011, poiché derivante dall’inottemperanza di un ordine di allontanamento contenuto in un provvedimento invalido, in quanto privo di uno dei suoi requisiti essenziali. In senso conforme: Cass. pen. n.33108 del 19 marzo 2019, ove si afferma che la decisione di ritenere insussistente il reato derivante dall’inottemperanza di un ordine di allontanamento contenuto in un provvedimento affetto da nullità, perché privo di uno dei suoi elementi essenziali, risulta corretta e non merita censura; Cass. pen., sez.I., sentenza n.40832 del 2019: “in tema di foglio di via obbligatorio, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento, costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la sua legittima emissione, cosicché tale provvedimento non può essere applicato nei confronti di un soggetto che non abbia la residenza nel territorio dello Stato né una fissa dimora”.

In difetto di tali condizioni non sussiste  il  reato di  cui  all’art.76,  comma  3,  d.lgs.  6  settembre  2011,  n.159.  (Cass.  pen., sentenza  sez.I,  n.13975/2020.  In  motivazione  la  Corte  ha,  altresì, escluso la possibile rilevanza della normativa in tema di ordinamento anagrafico della popolazione residente che,  con  riferimento  alle  persone  senza  fissa  dimora  né  domicilio,  prescrive  l’iscrizione d’ufficio nei registri anagrafici del comune di nascita, trattandosi di disposizione dettata da ragioni di natura amministrativa non rispondente alla finalità di controllo sottesa alla misura di prevenzione); Cass. pen., sez.I, sentenza n.30952 pubblicata il 15 luglio 2019, ove si evidenzia la necessità che al divieto di rientro si accompagni l’ordine di fare rientro nel luogo di residenza, con foglio di via obbligatorio.

“La necessaria compresenza e correlazione, nel provvedimento del Questore, di entrambe le intimazioni, di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel comune oggetto dell’ordine di allontanamento, la prima delle quali costituente condizione e antecedente logico dell’altra, comporta che entrambe devono concorrere a integrare, sul piano oggettivo, la fattispecie legale tipica del provvedimento, la cui corretta formazione ed esistenza costituisce il presupposto del reato derivante dall’inosservanza di una delle sue prescrizioni, con la conseguenza che la mancanza dell’una o dell’altra prescrizione, determinando la carenza di uno degli elementi essenziali dell’atto amministrativo, che ne condizionano la validità e dunque la legittimità, fa venir meno lo stesso presupposto logico-giuridico della condotta incriminata, costituita ex art.76 co.3 d.lgs. n.159 del 2011 dalla violazione della disposizione di un provvedimento validamente e legittimamente formato (nello stesso senso, cfr. Cass. pen., sez.I, sentenza n.36652 pubblicata il 29 agosto 2019); Cass. pen. n.33108 del 19 marzo 2019, ove si argomenta che è principio di diritto quello secondo cui, in tema di misure di prevenzione (foglio di via obbligatorio) ex art.2 d.lgs. n.159 del 2011, la relativa fattispecie legale preveda la necessaria compresenza dell’intimazione di non fare ritorno nel comune oggetto dell’ordine di allontanamento e quella di fare rientro nel comune di residenza. Da questo principio viene desunto che “la violazione di anche di una delle imposizioni integra l’elemento oggettivo positivo del reato di cui all’art.76 co.3 del medesimo decreto”, trattandosi di una condotta omissiva plurima, ripartita in due elementi tra loro interdipendenti, rappresentati, rispettivamente, dal mancato allontanamento del soggetto dal luogo dal quale è stato bandito e dall’inadempimento dell’obbligo di rientro nel luogo di abituale residenza. Qui si afferma anche che l’obiettivo della norma risulterebbe sostanzialmente frustrato qualora si ammettesse la legittimità di un provvedimento dal contenuto circoscritto all’allontanamento dal luogo di manifestazione della pericolosità sociale ed al divieto di reingresso, in quanto tale non funzionale alle immanenti e preminenti esigenze di controllo. “Tanto autorizza ad affermare che il foglio di via obbligatorio privo dell’ordine di rimpatrio verso il luogo di residenza per non avere il destinatario una residenza, ovvero un luogo in cui egli ha fissato, in modo più o meno stabile, il centro dei propri interessi, sarebbe inidoneo a soddisfare le finalità preventive sottese alla norma in esame”.

Dal confronto tra i menzionati orientamenti, in assenza di un pronunciamento delle Sezioni Unite, avrebbe potuto, tuttavia, desumersi che:

1) non è vietato emettere un divieto di ritorno senza indicare il comune di residenza ovvero il domicilio dove il soggetto allontanato debba trasferirsi e quindi senza emanare contestualmente il c.d. rimpatrio con foglio di via obbligatorio;

2) è insussistente il reato – eventualmente contestato – di cui all’art.76, comma 3, d.lgs. n.159 del 2011, poiché derivante dall’inottemperanza di un ordine di allontanamento contenuto in un provvedimento invalido, in quanto privo di uno dei suoi requisiti essenziali;

3) il reato sussiste anche nel caso della violazione di una soltanto delle imposizioni (purché queste ultime siano state entrambe contestate, ossia il divieto di ritorno e l’obbligo di fare rientro nel luogo di residenza)

Gli effetti penali della quérelle e la possibile disapplicazione ‘di fatto’ dell’art.76 d.lgs. n.159 del 2011

L’accoglimento dell’indirizzo che postulava la necessaria coesistenza del rimpatrio e del divieto di ritorno determinava, di fatto, l’impossibilità di applicare l’art.76 d.lgs. n.159 del 2011in caso di inottemperanza dell’ordine

Attesa la natura non vincolata sul piano della forma del provvedimento amministrativo che viene adottato dall’Autorità di P.S., avrebbe potuto ipotizzarsi, per i casi in cui non è possibile procedere – per assenza del destinatario – alla contestuale notifica del divieto di ritorno e del foglio di rimpatrio, la stesura di un provvedimento nel quale, dandosi atto dell’impossibilità della contestuale notifica del foglio di rimpatrio e del divieto di ritorno, si stabilivano sia il divieto di ritorno che l’obbligo di fare rientro nel luogo di residenza, prevedendo che l’efficacia di quest’ultimo decorresse dal momento dell’effettivo rintraccio del soggetto e della correlata notifica e che il provvedimento notificatogli valesse anche quale obbligo di rimpatrio.

Per i soggetti senza fissa dimora avrebbe dovuto trovare logica applicazione il solo divieto di ritorno. In questo modo sarebbe stata altresì ‘giustificata’ la mancata consegna del mod.226 P.S., elaborato sulla scorta dei contenuti dell’art.2 della legge 27 dicembre 1956 n.1423.

La questione, come detto, è venuta meno con le modifiche all’art.2 introdotte con il d.l. n.132 del 2023 ed il riferimento al solo ordine di allontanamento con divieto di ritorno, senza rimpatrio nel luogo di residenza o dimora abituale

Art.76 – Altre sanzioni penali

  1. La persona che, avendo ottenuto l’autorizzazione di cui all’articolo 12, non rientri nel termine stabilito nel comune di soggiorno obbligato, o non osservi le prescrizioni fissate per il viaggio, ovvero si allontani dal comune ove ha chiesto di recarsi, è punita con la reclusione da due a cinque anni; è consentito l’arresto anche fuori dei casi di flagranza.
  1. Chiunque violi il divieto di cui all’articolo 3, commi 4, 5 e 6-bis è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164. Gli strumenti, gli apparati, i mezzi e i programmi posseduti o utilizzati sono confiscati ed assegnati alle Forze di polizia, se ne fanno richiesta, per essere impiegati nei compiti di istituto.
  1. Il contravventore alle disposizioni di cui all’articolo 2, è punito con la reclusione da sei a diciotto mesi e con la multa fino a 10.000 euro.
  1. Chi non ottempera, nel termine fissato dal tribunale, all’ordine di deposito della cauzione di cui all’articolo 31, ovvero omette di offrire le garanzie sostitutive di cui al comma 3 della medesima disposizione, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni.
  1. La persona a cui è stata applicata l’amministrazione giudiziaria dei beni personali, la quale con qualsiasi mezzo, anche simulato, elude o tenta di eludere l’esecuzione del provvedimento è punita con la reclusione da tre a cinque anni. La stessa pena si applica a chiunque anche fuori dei casi di concorso nel reato, aiuta la persona indicata a sottrarsi all’esecuzione del provvedimento. Per il reato di cui al comma precedente si procede in ogni caso con giudizio direttissimo.
  1. Chi omette di adempiere ai doveri informativi di cui alla lettera a)del comma 2 dell’articolo 34-bis nei confronti dell’amministratore giudiziario è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Alla condanna consegue la confisca dei beni acquistati e dei pagamenti ricevuti per i quali è stata omessa la comunicazione.
  1. Chiunque, essendovi tenuto, omette di comunicare entro i termini stabiliti dalla legge le variazioni patrimoniali indicate nell’articolo 80 è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.329 a euro 20.658. Alla condanna segue la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati. Nei casi in cui non sia possibile procedere alla confisca dei beni acquistati ovvero del corrispettivo dei beni alienati, il giudice ordina la confisca, per un valore equivalente, di somme di denaro, beni o altre utilità dei quali i soggetti di cui all’articolo 80, comma 1, hanno la disponibilità.
  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il contravventore al divieto di cui all’articolo 67, comma 7 è punito con la reclusione da uno a sei anni. La stessa pena si applica al candidato che, avendo diretta conoscenza della condizione di sottoposto in via definitiva alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, richiede al medesimo di svolgere le attività di propaganda elettorale previste all’articolo 67, comma 7 e se ne avvale concretamente. L’esistenza del fatto deve risultare anche da prove diverse dalle dichiarazioni del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione.
  1. La condanna alla pena della reclusione, anche se conseguente all’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dal comma 8, comporta l’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena detentiva. A tal fine la cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza trasmette copia dell’estratto esecutivo, chiusa in piego sigillato, all’organo o all’ente di appartenenza per l’adozione degli atti di competenza. Nel caso in cui il condannato sia un membro del Parlamento, la Camera di appartenenza adotta le conseguenti determinazioni secondo le norme del proprio regolamento. Dall’interdizione dai pubblici uffici consegue l’ineleggibilità del condannato per la stessa durata della pena detentiva. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini dell’interdizione dai pubblici uffici.

Contrasto dei reati in materia di armi e di sostanze stupefacenti

Con l’art.4 del decreto, rubricato “disposizioni per il contrasto dei reati in materia di armi od oggetti atti ad offendere, nonché di sostanze stupefacenti” vengono potenziate la facoltà di arresto in flagranza per il reato di “porto d’armi od oggetti atti ad offendere” e si inaspriscono, fino a raddoppiarle (si passa in alcuni casi da un massimo di due a un massimo di quattro anni di reclusione) le sanzioni relative a tale reato.

In sede di conversione del decreto è stata inserita all’interno della legge n.110 del 1975 la nuova fattispecie del porto di armi per cui non è ammessa licenza (art.4 bis), in forza della quale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, porta un’arma per cui non è ammessa licenza fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa è punito con la reclusione da uno a tre anni, con aumenti di pena, previsione di aggravanti facoltà di arresto in flagranza e anche fuori dei casi di flagranza se commessi da persone sottoposte alla – non meglio precisata – “misura di prevenzione” ex art.71 co.2 d.lgs. n.159 del 2011).

Contestualmente è stato abrogato il secondo comma dell’art.699 c.p. (porto abusivo di armi), che stabiliva un più elevato minimo edittale.

L’art.4 co.2-sexies del d.l. n.123 del 2023, come modificato, in sede di conversione, dalla legge n.159 del 2023, è intervenuto sull’art.4 co.1 lett.g), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159 del 2011, andando ad estendere l’applicabilità della sorveglianza speciale di P.S. ai soggetti condannati per il delitto di “pubblica intimidazione con uso di armi”.

Tale nuova fattispecie incriminatrice, applicabile al fenomeno delle cc.dd. “stese“, è stata prevista dall’art.4 co.2-quater del d.l. n.123 del 2023, come modificato, in sede di conversione, dalla legge n.159 del 2023,

La norma è stata introdotta con tecnica legislativa invertita: da un lato l’abrogazione dell’art.6 della legge 2 ottobre 1967 n.895, dall’altro l’introduzione dell’art.421-bis, rubricato “pubblica intimidazione con uso di armi”, che punisce con la reclusione da tre a otto anni (se il fatto non costituisce più grave reato) “chiunque, al fine di incutere pubblico timore o di suscitare tumulto o pubblico disordine o di attentare alla sicurezza pubblica, fa esplodere colpi di arma da fuoco o fa scoppiare bombe o altri ordigni o materie esplodenti”.

Per i soggetti condannati ai sensi di questa fattispecie è, quindi, ipotizzabile l’applicazione di una misura di prevenzione (personale o patrimoniale) ‘giurisprudenziale (sorveglianza speciale di P.S., sequestro e confisca di prevenzione).

La pena per il reato di spaccio di stupefacenti, nei casi di lieve entità, passa da un massimo di quattro a un massimo di cinque anni.

In sede di conversione del decreto, relativamente ai casi in cui la condotta, anche se di lieve entità (e pertanto punita con la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da euro 1.032 a euro 10.329 ex art.73 co.5 D.P.R. n.309 del 1990) assume caratteri di ‘non occasionalità’, è stata prevista una pena (reclusione da diciotto mesi a cinque anni) di fatto triplicata nel minimo, con la multa (da euro 2.500 a euro 10.329) parimenti incrementata nel suo minimo edittale.

Altre modifiche al d.lgs. n.159 del 2011

Tra le ulteriori novità introdotte dal d.l. n. 123 del 2023 si richiama all’art.4, comma 2-ter – la modifica dell’art.71 del d.lgs. n.159 del 2011 che, come noto, determina una serie di effetti penali e processuali (aggravamento di pena, procedibilità d’ufficio, possibilità di procedere all’arresto fuori flagranza e applicazione di una misura di sicurezza detentiva) qualora i reati elencati nella stessa disposizione siano commessi da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale, durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione.

Si richiama l’introduzione, nel novero delle fattispecie penali contemplate dall’art.71, del ‘nuovo’ delitto previsto dall’articolo 4-bis della legge 18 aprile 1975, n.110 (Porto di armi per cui non è ammessa licenza).

Art.71 – Circostanza aggravante

  1. Le pene stabilite per i delitti previsti dagli articoli 270-quater, 270-quinquies, 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 336, 338, 353, 377, terzo comma, 378, 379, 416, 416-bis, 416-ter, 418, 424, 435, 513-bis, 575, 600, 601, 602, 605, 610, 611, 612, 628, 629, 630, 632, 633, 634, 635, 636, 637, 638, 640-bis, 648-bis, 648-ter, del codice penale, nonché per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 18 aprile 1975 n.110 sono aumentate da un terzo alla metà e quelle stabilite per le contravvenzioni di cui agli articoli 695, primo comma, 696, 697, 698, 699 del codice penale sono aumentate nella misura di cui al secondo comma dell’articolo 99 del codice penale se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione.
  1. In ogni caso si procede d’ufficio e quando i delitti di cui al comma 1, per i quali è consentito l’arresto in flagranza, sono commessi da persone sottoposte alla misura di prevenzione, la polizia giudiziaria può procedere all’arresto anche fuori dei casi di flagranza.
  1. Alla pena è aggiunta una misura di sicurezza detentiva.

Sicurezza partecipata e compiti delle guardie particolari giurate

In sede di conversione del decreto è stato previsto che “le guardie particolari giurate di cui  all’articolo  133, primo comma, del testo unico delle leggi di  pubblica  sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nell’ambito dei rapporti di lavoro dipendente di cui all’articolo 138, terzo comma, del medesimo  testo unico, comunicano senza ritardo ai servizi di emergenza sanitaria le segnalazioni ricevute,  attraverso  l’utilizzo di appositi strumenti digitali di sicurezza, relative a situazioni di pericolo per la salute di una persona all’interno o all’esterno della propria abitazione. Nella comunicazione di cui al primo periodo sono indicati la posizione e, ove disponibile, lo stato di salute della persona in pericolo. L’attività di comunicazione delle informazioni di cui al presente comma non comporta l’esercizio di pubbliche funzioni)

La previsione ripropone il modello di sicurezza integrata già sperimentato in protocolli per la sicurezza (es. “Mille occhi sulla città”), anche se con risultanze spesso irrilevanti.

Prevenzione della violenza giovanile e divieto di utilizzo di dispositivi di telecomunicazione e servizi informatici

L’art.5 del decreto, finalizzato al contrasto della violenza giovanile, anche con riferimento al fenomeno delle “baby-gang”, modifica la disciplina della misura di prevenzione personale dell’“avviso orale” di cui all’art.3 del d.lgs. 6 settembre 2011 n.159. Attualmente, la misura è prevista per i soggetti maggiorenni che, per la condotta ed il tenore di vita, si ritiene vivano, anche in parte, con i proventi di attività delittuose e siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Con le nuove norme, l’avviso orale è reso applicabile anche ai soggetti minori di anni 18 che abbiano compiuto 14 anni, i quali devono essere convocati unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale.

Art.3 – Avviso orale

  1. Il questore nella cui provincia la persona dimora può avvisare oralmente i soggetti di cui all’articolo 1 che esistono indizi a loro carico, indicando i motivi che li giustificano.
  1. Il questore invita la persona a tenere una condotta conforme alla legge e redige il processo verbale dell’avviso al solo fine di dare allo stesso data certa.
  1. La persona alla quale è stato fatto l’avviso può in qualsiasi momento chiederne la revoca al questore che provvede nei sessanta giorni successivi. Decorso detto termine senza che il questore abbia provveduto, la richiesta si intende accettata. Entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di rigetto è ammesso ricorso gerarchico al prefetto.

3-bis. L’avviso orale può essere rivolto anche ai soggetti minori di diciotto anni che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età. Il provvedimento è comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore. Ai fini dell’avviso orale, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale. Gli effetti dell’avviso orale di cui al presente comma cessano comunque al compimento della maggiore età.

  1. Con l’avviso orale il questore, quando ricorrono le condizioni di cui ai commi 1 e 3-bis può imporre alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.
  1. Il questore può, altresì, imporre il divieto di cui al comma 4 ai soggetti sottoposti alla misura della sorveglianza speciale, quando la persona risulti definitivamente condannata per delitto non colposo.
  1. Il divieto di cui ai commi 4 e 5 adottato nei confronti di un maggiorenne è opponibile davanti al tribunale in composizione monocratica. Il divieto di cui al comma 4 adottato nei confronti di un minorenne è opponibile davanti al tribunale per i minorenni

“6-bis. Nei casi di cui ai commi 1 e 3-bis, se il soggetto al quale è notificato l’avviso orale risulta condannato, anche con sentenza non definitiva, per uno o più delitti contro la persona o il patrimonio ovvero inerenti alle armi o alle sostanze stupefacenti, il questore può proporre al tribunale per i minorenni l’applicazione del divieto di utilizzare, in tutto o in parte, piattaforme o servizi informatici e telematici specificamente indicati nonché del divieto di possedere telefoni cellulari, altri dispositivi per le comunicazioni dati e voce o qualsiasi altro apparato di  comunicazione radiotrasmittente. Alla persona avvisata oralmente viene notificata la proposta di cui al periodo precedente e data notizia della facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per l’applicazione del divieto.

6-ter. Il giudice, sentito il pubblico ministero, provvede, con decreto motivato, entro trenta giorni dal deposito della proposta di cui al comma 6-bis. Il divieto è disposto per una durata non superiore a due anni, con l’individuazione di modalità applicative compatibili con le esigenze di salute, famiglia, lavoro o studio del destinatario del provvedimento. In caso di rigetto della proposta di cui al comma 6-bis, è fatto comunque salvo l’avviso orale emesso dal questore.

6-quater. Contro il decreto di cui al comma 6-ter è proponibile ricorso per cassazione. Il ricorso non sospende l’esecuzione del decreto.

Si prevede che il Questore possa proporre all’Autorità giudiziaria (Tribunale per i minorenni, come previsto dalla legge di conversione) di vietare, a determinati soggetti di età superiore ai 14 anni, di possedere o utilizzare telefoni cellulari e altri dispositivi per le comunicazioni dati e voce quando il loro uso è servito per la realizzazione o la divulgazione delle condotte che hanno determinato l’avviso orale.

Ai minori è stata estesa l’applicabilità delle prescrizioni aggiuntive imposte dal Questore ai sensi dell’art.3 co.4 del d.lgs. n.159 del 2011. In tale ipotesi, il provvedimento è opponibile davanti al tribunale per i minorenni, mentre per i soggetti maggiorenni le prescrizioni del Questore restano opponibili davanti al tribunale in composizione monocratica.

Ai medesimi è stata parimenti estesa, per la violazione delle prescrizioni dell’avviso orale, la sanzione penale prevista per i maggiorenni (reclusione da uno a tre anni e con multa da euro 1.549 a euro 5.164).

Giova rammentare, tuttavia, in considerazione del fatto che l’avviso orale del questore (così come altri provvedimenti monitori, tipo l’ammonimento) è senza termini di durata, che è stata già da tempo sollevata questione di costituzionalità da parte della Corte di Cassazione al fine di valutare se i divieti imponibili con l’avviso sono conformi alla Costituzione e alla Cedu (v. ordinanza n.46076 del 16 dicembre 2021).

La Corte di Cassazione ha ritenuto la questione proposta rilevante e non manifestamente infondata, “attesa l’incidenza dei divieti che possono essere imposti dal Questore su diverse libertà fondamentali, tutelate dalle norme costituzionali e convenzionali: in particolare la libertà di comunicazione”.

“L’assenza della previsione di un termine di durata dei divieti previsti dal d.lgs. n.159 del 2011, art.3, comma 4, dunque, non soltanto è in grado di comprimere a tempo indeterminato alcune fondamentali libertà, ma può altresì integrare, in caso di trasgressione, il delitto di cui all’art.76, comma 2 del d.lgs. n.159 del 2011”.

In tal senso deve essere intesa la fissazione del limite di durata per l’avviso orale emesso nei confronti del minorenne, per il quale la misura cessa al raggiungimento della maggiore età.

Si osserva, al riguardo, che la Corte costituzionale, con la sentenza n.2 del 2023, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.3 co.4 nella parte in cui, tra gli “apparati di comunicazione radiotrasmittente” di cui il Questore può vietare il possesso o l’utilizzo, include i telefoni cellulari. La decisione è stata motivata sull’assunto che “il divieto di possesso e uso di un telefono mobile – considerata l’universale diffusione attuale di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale, si traduce in un ‘limite alla libertà di comunicare’ sancita come inviolabile dall’art.15 Cost., che ne consente la compressione ‘soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge’.

Nell ‘ottica di adeguare la disciplina della misura in esame ai principi espressi dalla Consulta nella pronuncia richiamata, il d.l. n.123 del 2023 ha introdotto una nuova, specifica fattispecie di divieto di utilizzare, in tutto o in parte, piattaforme o servizi informatici e telematici specificamente indicati nonché del divieto di possedere o di utilizzare telefoni cellulari, altri dispositivi per le comunicazioni dati e voce o qualsiasi altro apparato di comunicazione radiotrasmittente, quando il suo utilizzo è servito per la realizzazione o la divulgazione delle condotte che hanno determinato l’avviso orale.

Conformemente alle indicazioni della Corte Costituzionale, tale divieto può essere disposto dall’Autorità Giudiziaria, su proposta del Questore, nei confronti dei destinatari di avviso orale che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, per uno o più delitti contro la persona o il patrimonio ovvero inerenti alle armi o alle sostanze stupefacenti.

In sede di conversione del decreto

  • è stato previsto che il provvedimento di avviso orale a minorenni che hanno compiuto quattordici anni è comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore. Si osserva che, per quanto concerne l’Autorità Giudiziaria competente, l’art.5 co.1 del d.l. n.123 del 2023, nella configurazione precedente alla conversione in legge, aveva individuato il tribunale in composizione monocratica; tuttavia, la legge di conversione ha modificato la disposizione in esame, attribuendo la competenza ad applicare il divieto de quo in capo al tribunale per i minorenni.
  • è stato, pertanto, diversificato il regime di opponibilità del divieto di cui ai commi 4 e 5, tribunale in composizione monocratica per il maggiorenne e tribunale per i minorenni per questi ultimi. L’opzione normativa emersa in sede di conversione del decreto indurrebbe a ritenere il provvedimento di cui all’art.3 co.6 bis del d.lgs. n.159 del 2011 applicabile unicamente ai soggetti minorenni ultraquattordicenni. D’altro canto, però, lo stesso co.6-bis richiama i “casi di cui ai commi 1 e 3-bis e cioè, rispettivamente, l’avviso orale a soggetti maggiorenni e quello a soggetti minorenni. A tale proposito, come richiama la circolare esplicativa n..225/SCA/2023 del Dipartimento della P.S. – Direzione Centrale Anticrimine, Servizio Centrale Anticrimine datata 18.09.2023, i lavori preparatori del progetto di legge di conversione del D.L. n. 123/2023 (Atto Camera 1517) e il dossier del 30 ottobre 2023, a cura del Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni della Camera dei Deputati, i nuovi commi 6-bis, 6-ter e 6-quater dell’art.3 del d.lgs. n.159 del 2011 “da un lato ampliano ai minori ultra-quattordicenni l’ambito di applicazione del divieto, dall’altro procedimentalizzano la sua irrogazione (a qualsiasi soggetto, anche non minore) ponendola in capo all’autorità giudiziaria ” Qualora si verifichino le condizioni sopra ricordate, il questore può proporre l’applicazione del divieto non più “al tribunale in composizione monocratica”, secondo l’originaria previsione del decreto-legge, ma al “tribunale dei minorenni.  Fermo restando che sarà opportuno monitorare il futuro andamento della giurisprudenza sul tema, al fine di rilevare eventuali soluzioni fornite in sede interpretativa, si osserva – con riferimento al procedimento applicativo – che sarà necessario notificare al destinatario dell’avviso orale la proposta di irrogazione del divieto in esame, informandolo della facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente, il quale provvederà, con decreto motivato, entro trenta giorni dal deposito della menzionata proposta.

Infine, la sanzione prevista dall’art. 76, comma 2 del d.lgs. n.159 del 2011 per la violazione delle prescrizioni aggiunte all’avviso orale è stata estesa al nuovo divieto di cui al comma 6-bis.

Ammonimento per bullismo

L’art.5 del d.l. n.123 del 2023 ha introdotto due nuove fattispecie di ammonimento destinate ai soggetti minorenni e disciplinate, rispettivamente, nei commi da 2 a 4, e nei commi 5 e seguenti.

Art.5 d.l. 15 settembre 2023 n.123

  1. Fino a quando non è proposta querela o non è presentata denuncia per taluno dei reati di cui agli articoli 581, 582, 610, 612 e 635 del codice penale, commessi da minorenni di età superiore agli anni quattordici nei confronti di altro minorenne, è applicabile la procedura di ammonimento di cui all’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009 n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n.38.
  2. Ai fini dell’ammonimento di cui al comma 2, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale.

3-bis. Il provvedimento di cui al comma 2 è comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore

  1. Gli effetti dell’ammonimento di cui al comma 2 cessano comunque al compimento della maggiore età.
  2. Qualora il fatto commesso da un minore di età compresa fra i dodici e i quattordici anni sia previsto dalla legge come delitto punito con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, è applicabile la procedura di ammonimento di cui all’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009 n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38.
  3. Ai fini dell’ammonimento di cui al comma 5, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale.

6-bis. Il provvedimento di cui al comma 5 è comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore

  1. Gli effetti dell’ammonimento di cui al comma 5 cessano comunque al compimento della maggiore età.
  2. Nelle ipotesi di ammonimento adottato ai sensi del comma 5, nei confronti del soggetto che era tenuto alla sorveglianza del minore o all’assolvimento degli obblighi educativi nei suoi confronti è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro, salvo che non provi di non aver potuto impedire il fatto.
  3. L’autorità competente all’irrogazione della sanzione di cui al comma 8 è il Prefetto. Si applicano, in quanto compatibili, le pertinenti disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

La prima ipotesi è rivolta ai minori ultraquattordicenni ed è finalizzata alla tutela contro condotte riconducibili al “bullismo“, in aggiunta a quanto già previsto dall’art.7 della legge n.71 del 2017, che non è stato oggetto di modifica e contempla unicamente fatti commessi mediante la rete internet (c.d. “cyber-bullismo“). A tale riguardo, l’art.5 dal comma 2 al comma 4 introduce una figura di ammonimento sostanzialmente analogo a quello già previsto in materia cyberbullismo, al fine di intercettare alcune condotte illecite realizzate fisicamente da minorenni nei confronti di altri minori, con particolare riguardo alle fattispecie di percosse, lesioni, violenza privata e danneggiamento.

La nuova misura è quindi applicabile, fino a quando non sia proposta querela o presentata denuncia per taluno dei reati di cui agli articoli 581 (percosse), 582 (lesione personale), 610 (violenza privata), 612 (minaccia) e 635 (danneggiamento) del codice penale, commessi da minorenni di età superiore agli anni quattordici nei confronti di altro minorenne.

La relativa procedura, che prende avvio con l’istanza della persona offesa, è disciplinata mediante richiamo all’articolo 8, commi 1 e 2, del d.l. n.11/2009, relativo all’ammonimento per atti persecutori.

Ai fini dell’ammonimento, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale. Il provvedimento deve poi essere comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore.

Gli effetti della misura cessano al compimento della maggiore età.

Ammonimento per minori di età compresa tra 12 e 14 anni

La seconda, nuova fattispecie di ammonimento introdotta dall’art.5 del d.l. n.123 del 2023 si muove nell’ottica della prevenzione della recrudescenza della devianza giovanile ed è rivolta ai minorenni di età compresa tra i 12 e i 14 anni – non imputabili per il diritto penale – che abbiano commesso un fatto previsto dalla legge come delitto punito con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Anche in questo caso, il procedimento applicativo è disciplinato mediante richiamo all’articolo 8, commi 1 e 2, del d.l. n.11 del 2009, ragion per cui deve ritenersi necessaria l’istanza della persona offesa.

Ai fini dell’ammonimento, trattandosi di una misura che interessa i minori compresi tra 12 e 14 anni e quindi soggetti non imputabili, il Questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale.

Il provvedimento deve poi essere comunicato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore.

Gli effetti della misura cessano al compimento della maggiore età.

Per questa specifica ipotesi di ammonimento, l’art.5, comma 8 del D.L. n 123/2023 prevede anche l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro a carico del soggetto tenuto alla sorveglianza del minore o all’assolvimento degli obblighi educativi nei suoi confronti, salvo che questi provi di non aver potuto impedire il fatto. Tale sanzione amministrativa è di competenza del Prefetto.

Contrasto dei reati commessi dai minori

Con una serie di misure si interviene sul processo penale a carico di imputati minorenni:

  • si riduce da 5 a 3 anni la pena massima dei reati non colposi per i quali si consente l’accompagnamento presso gli uffici di polizia del minorenne colto in flagranza, trattenendolo per il tempo strettamente necessario (non oltre 12 ore) alla sua consegna a chi esercita la responsabilità genitoriale;
  • per le misure diverse dalla custodia cautelare, la soglia di applicabilità ai maggiori di 14 anni scenda da 5 anni a 4;
  • si abbassa da 9 anni a 6 anni la pena massima richiesta per procedere con il fermo, l’arresto in flagranza e la custodia cautelare dei maggiori di 14 anni per delitti non colposi;
  • si prevede inoltre che fermo, arresto e custodia cautelare nei confronti del minore, maggiore di 14 anni, possano essere disposti anche per ulteriori e specifiche ipotesi (come il furto aggravato, i reati in materia di porto di armi od oggetti atti ad offendere, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, resistenza a un pubblico ufficiale, produzione e spaccio di stupefacenti).

Misure anticipate relative a minorenni coinvolti in reati di particolare allarme sociale

Nell’ambito dei delitti di “associazioni di tipo mafioso anche straniere” e di “associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope” si prevede che, qualora emerga una situazione di pregiudizio che interessa un minorenne, il pubblico ministero informi immediatamente il procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, per le eventuali iniziative di competenza.

Custodia cautelare e percorso di rieducazione del minore

L’intervento normativo agisce sull’applicabilità delle misure cautelari ai minori di 18 anni, con l’obiettivo di sanzionare e dissuadere dal tenere comportamenti contrari alla legge, e prevede specifici percorsi di reinserimento e rieducazione del minore autore di condotte criminose.

Nello specifico, si reintroduce la possibilità di applicare la custodia cautelare al soggetto minorenne se lo stesso, in veste di imputato, si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che si dia alla fuga.

Si introduce, inoltre, una nuova disposizione – interamente rivista in sede di conversione del decreto – concernente il percorso rieducativo del minore (art.27 bis del D.P.R. 22 settembre 1988 n.448). Nel caso di reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore a cinque anni o la pena pecuniaria, se i fatti non rivestono particolare gravità il pubblico ministero notifica al minore e all’esercente la responsabilità genitoriale l’istanza di definizione anticipata del procedimento, subordinata alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo.

Tale programma deve prevedere lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti no profìt o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso tra due e otto mesi. Il deposito del programma rieducativo, redatto in collaborazione anche con i servizi dell’amministrazione della giustizia, deve avvenire, da parte dell’indagato o del suo difensore, entro sessanta giorni dalla notifica della proposta del pubblico ministero. Ricevuto il programma, il pubblico ministero lo trasmette al giudice per le indagini preliminari, che fissa l’udienza in camera di consiglio per deliberare sull’ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione. Il giudice, sentiti l’imputato e l’esercente la responsabilità genitoriale, valutata la congruità del percorso di reinserimento e rieducazione, con l’ordinanza di ammissione ne stabilisce la durata e sospende il processo per la durata corrispondente. Durante tale periodo il corso della prescrizione è sospeso. In caso di interruzione o mancata adesione al percorso, i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia informano il giudice, che fissa l’udienza in camera di consiglio e, sentite le parti, adotta i provvedimenti conseguenti.

Nel caso in cui il minore non intenda accedere al percorso di reinserimento e rieducazione o lo interrompa senza giustificato motivo, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’articolo 453 c.p.p.. L’ingiustificata interruzione è valutata nel caso di istanza di sospensione del processo con messa alla prova. Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza in camera di consiglio nella quale, tenuto conto del comportamento dell’imputato e dell’esito positivo del percorso rieducativo, dichiara con sentenza estinto il reato. In caso contrario, restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’art.453 c.p.p..

Sicurezza degli istituti penali per minorenni

Si introduce la possibilità che il direttore dell’istituto penitenziario chieda al magistrato di sorveglianza il nulla osta al trasferimento dall’istituto minorile al carcere nei confronti del detenuto di età compresa tra 18 e 21 anni che abbia commesso il reato da minorenne, il quale con i suoi comportamenti, cumulativamente: compromette la sicurezza o turba l’ordine negli istituti; con violenza o minaccia impedisce le attività degli altri detenuti; si avvale dello stato di soggezione da lui indotto negli altri detenuti. Se il detenuto è di età compresa tra 21 e 25 anni, la richiesta di nulla osta è possibile se il detenuto stesso abbia realizzato anche una sola delle condotte sopra descritte.

Disposizioni in materia di offerta educativa

Si rafforza l’offerta educativa nelle scuole del meridione caratterizzate da alta dispersione scolastica, attraverso il potenziamento dell’organico dei docenti delle istituzioni scolastiche statali con maggiore disagio educativo. Si incrementa di 6 milioni di euro il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (MOF), al fine di incentivare la presenza dei docenti nelle zone più disagiate, anche attraverso la valorizzazione dei docenti che permangono nella stessa istituzione scolastica garantendo la continuità didattica. A tal fine, in favore dei docenti a tempo indeterminato, sono previste misure incentivanti quali l’attribuzione di una quota pari al 50% dell’incremento del Fondo, secondo criteri che tengano conto degli anni di permanenza nella stessa istituzione scolastica e l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo di 10 punti, a conclusione del triennio effettivamente svolto, e ulteriori 2 punti per ogni anno di permanenza dopo il triennio.

Si rafforzano i meccanismi di controllo e verifica dell’adempimento dell’obbligo scolastico e si introduce una nuova fattispecie di reato per i casi di elusione ovvero di inosservanza dell’obbligo di istruzione dei minori. Nell’ipotesi di dispersione assoluta (il minore mai iscritto a scuola nonostante l’ammonimento), l’art.12 del decreto introduce la pena fino a due anni di reclusione a carico del responsabile dell’adempimento dell’obbligo scolastico del minore che, già ammonito dal sindaco, non adempia adeguatamente a tale sua responsabilità; nel caso di abbandono scolastico (il minore che, pur iscritto, faccia un numero di assenze tale da eludere l’obbligo scolastico), la pena prevista è fino ad un anno di reclusione. Inoltre, i soggetti che violano l’obbligo perdono il diritto di percepire l’assegno di inclusione.

Disposizioni in materia di tutela dei minori che utilizzano dispositivi informatici

Si prevede l’obbligo, per i fornitori dei servizi di comunicazione elettronica, di assicurare la disponibilità delle applicazioni di controllo parentale nell’ambito dei contratti di fornitura di tali servizi. A regime, si prevede inoltre l’obbligo per i produttori di dispositivi di telefonia mobile (e simili) di assicurare l’installazione di default di tali applicazioni nei nuovi dispositivi immessi sul mercato. Si prevedono oneri informativi in capo ai produttori di dispositivi, i quali sono tenuti ad informare l’utenza circa la possibilità e l’importanza di installare tali applicazioni, che dovranno essere gratuite.

Si introducono, inoltre, norme per favorire l’alfabetizzazione digitale e mediatica a tutela dei minori, anche con campagne informative.

L’art.13-bis del decreto, introdotto dalla legge di conversione, contiene una disposizione ad hoc per la verifica della maggiore età per l’accesso a siti pornografici.

  1. E’ vietato l’accesso dei minori a contenuti a carattere pornografico, in quanto mina il rispetto della loro dignità e ne compromette il benessere fisico e mentale, costituendo un problema di salute pubblica.
  2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 42 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n.208, i gestori di siti web e i fornitori delle piattaforme di condivisione video, che diffondono in Italia immagini e video a carattere pornografico, sono tenuti a verificare la maggiore età degli utenti, al fine di evitare l’accesso a contenuti pornografici da parte di minori degli anni diciotto.
  3. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni stabilisce, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con proprio provvedimento, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, le modalità tecniche e di processo che i soggetti di cui al comma 2 sono tenuti ad adottare per l’accertamento della maggiore età degli utenti, assicurando un livello di sicurezza adeguato al rischio e il rispetto della minimizzazione dei dati personali raccolti in ragione dello scopo.
  4. Entro sei mesi dalla data di pubblicazione del provvedimento di cui al comma 3, i soggetti di cui al comma 2 si dotano di efficaci sistemi di verifica della maggiore età conformi alle prescrizioni impartite nel predetto provvedimento.
  5. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni vigila sulla corretta applicazione del presente articolo e, in caso di inadempimento, contesta ai soggetti di cui al comma 2, anche d’ufficio, la violazione, applicando le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 31, del decreto legislativo 31 luglio 1997, n. 249, e li diffida ad adeguarsi entro venti giorni. In caso di inottemperanza alla diffida, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni adotta ogni provvedimento utile per il blocco del sito o della piattaforma fino al ripristino, da parte dei soggetti di cui al comma 2, di condizioni di fornitura conformi ai contenuti della diffida dell’Autorità.

Note di commento

Il decreto ripropone una tecnica di ampliamento delle fattispecie e di inasprimento sanzionatorio ‘a rilascio progressivo’, come dimostrano le variazioni sul tema intervenute negli ultimi anni, con i vari pacchetti sicurezza che da un lato hanno ampliato il novero dei destinatari delle misure e dall’altro hanno previsto sanzioni sempre più afflittive in caso di violazione.

In tal senso, sembra avverarsi la previsione formulata da Thomas Weigend in merito alle tendenze evolutive del diritto penale nel XXI secolo nel quale i membri della società del rischio “sono disposti ad accettare limitazioni alla loro di libertà, per averne in cambio protezione a fronte delle molteplici insicurezze e dei pericoli che incontrano nella loro vita” (Weigend T., Dove va il diritto penale? Problemi e tendenze evolutive nel XXI secolo, in Criminalia 2014, 75 ss., trad. R. Orlandi): “se la mia previsione è corretta, ci dobbiamo aspettare una estensione quantitativa del diritto penale in diversi ambiti (della vita associata) che non necessariamente saranno interessati da un coevo miglioramento qualitativo delle rispettive funzionalità. Sono potenzialmente sotto attacco i limiti che tradizionalmente il potere statale si impone a tutela del cittadino. La circostanza che le linee di politica criminale sono elaborate al livello sovranazionale dell’Unione europea e meno a livello nazionale – benché sul punto non sia qui possibile dilungarsi – dà ulteriore avallo a questa prognosi pessimistica. Ci stiamo probabilmente muovendo in un mondo dove l’armonia conta più della libertà. In questo contesto il diritto penale è chiamato ad assicurare un’armonia libera da fattori di disturbo, nel rispetto reciproco fra le persone, attraverso una serie di regole di comportamento penalmente sanzionate, volte alla preservazione dell’ordine economico e alla conservazione di una società complessivamente sana. Come ogni “nuovo mondo” (nel senso del Brave new world) anche questo ha la duplice potenzialità di evolversi nel senso sia dell’utopia pacifica, sia della distruttiva distopia di un’asfissiante tirannia delle opinioni. Comunque sia, il diritto penale è destinato a mutare il proprio volto: non sarà più un padre severo che punisce duramente alcune infrazioni, lasciando per il resto una certa libertà nella scelta dello stile di vita; sarà piuttosto come una madre premurosa, disposta ad accompagnare e ad ammonire costantemente il proprio figlio”.


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