1862, Germania. Ludwig Feuerbach, filosofo tedesco della sinistra hegeliana, coniava quella tanto citata frase che oggi possiamo non solo considerare attualissima ma addirittura alla base del rapporto uomo-alimentazione: “L’uomo è ciò che mangia”.

Sempre maggiore è l’interesse e, soprattutto, la consapevolezza che la sicurezza alimentare non riguarda unicamente le food factories e la ristorazione collettiva. La sicurezza alimentare è anche quello che ogni giorno portiamo sulle nostre tavole, è l’alimento che cuciniamo nelle nostre mura domestiche, è quell’alimento che pretendiamo sia sano dal punto di vista nutrizionale e sicuro da quello microbiologico. Ma quell’alimento, sano e sicuro, che magari è parte integrante della dieta mediterranea e che siamo abituati a consumare, nasconde infime e ben peggiori contaminazioni. E se è vero l’uomo è ciò che mangia, a nessuno piace mangiare medicinali ad uso veterinario, sostanze ad effetto anabolizzante o contaminanti ambientali.

Si chiama Piano Nazionale per la ricerca dei Residui (PNR) e non è altro che un programma di sorveglianza attuato dal Ministero della Salute, che consente di monitorare la presenza di residui di sostanze chimiche negli alimenti di origine animale. Il PNR nasce con il D.Lgs 158/2006, in seguito al recepimento delle Direttive Comunitarie 96/22/CE e 96/23/CE che imponevano il divieto di utilizzo di alcune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e beta-antagoniste ed il controllo delle stesse negli animali vivi e nei loro prodotti. Gli usi di tali sostanze sono i più svariati. Si verifica per esempio un abuso di antibiotici, utilizzati come strumento preventivo, per scongiurare epidemia del bestiame che potrebbero portare ingenti danni dal punto di vista economico, oppure anabolizzanti e cortisone vengono impiegati per migliorare la crescita dell’animale dal punto di vista muscolare diminuendo, al tempo stesso, lo stress da questo subito e ciò si verifica, per esempio, negli allevamenti bovini, dove il vitello viene generalmente separato precocemente dalla madre.

Nello specifico, le sostanze da ricercare all’interno del PNR vengono suddivide in due categorie (A e B) e sono, per la categoria A:

  • sostanze anabolizzanti;
  • sostanze non autorizzate per il trattamento degli animali da reddito;

mentre per la categoria B troviamo:

  • medicinali veterinari, per i quali l’Unione Europea definisce un “limite massimo residuo” che non può essere superato in quei prodotti destinati al consumo umano;
  • e i contaminanti ambientali, quali metalli pesanti, organoclorurati e sostanze chimiche in genere, derivanti anche da processi industriali.

Il PNR vede coinvolti i Dipartimenti di Prevenzione Veterinaria delle ASL e gli Istituti Zooprofilattici, i quali effettuano i campionamenti sia negli allevamenti, che nei macelli e nei centri di raccolta del latte, mettendo in atto azioni di tipo repressivo qualora i risultati analitici riscontrino l’impiego di sostanze vietate o di sostanze il cui tenore supera il valore limite stabilito.

L’EFSA (European Food Safety Authority)  nel report “Chemicals in food 2016” e nello specifico nella sezione “Veterinary drug residues in animal and food”, utile per un approfondimento della materia, sintetizza gli esiti del monitoraggio relativo all’anno 2014 con l’intento non solo di illustrare quali contaminanti e in quali alimenti sono state riscontrati, ma mostrare come l’andamento delle campagne di monitoraggio ed i controlli attuati siano strumenti positivi a tutela della salute del consumatore.

Ma quali i sono i veri rischi per la salute di coloro che assumono prodotti di origine animale contenenti sostanze chimiche o residui di medicinali? Per quanto riguarda il consumo di carni contenenti antibiotici si verifica il fenomeno dell’antibiotico resistenza, il quale va a limitare l’azione di quei farmaci antibiotici, adatti all’uomo, che assumiamo in presenza di particolari problemi di salute. Sull’antibiotico resistenza è ancora una volta l’EFSA ad esprimere il suo giudizio, decisamente poco rassicurante. Stando ai dati del 2015, l’Italia si configura tra i paesi con il maggior tasso di batteri resistenti agli antibiotici, fenomeno che, in tutta Europa, causa oltre 25mila morti ogni anno.

Un altro problema è la presenza di cortisone e steroidi anabolizzanti.  Non sono rari i casi di bambini con evidenti segni di squilibri ormonali quali ginecomastia, bottoni mammari e menarca precoce in seguito al consumo di carni trattate con tali sostanze. Possiamo addirittura parlare di un effetto feed-back negativo degli ormoni, che porta ad un arresto della spermatogenesi e azospermia nel maschio, all’irregolarità mestruale nella donna.

Va ribadito che l’Unione Europea ha imposto il divieto di utilizzo degli ormoni anabolizzanti in zootecnia e, benché alcuni paesi tra cui gli USA ne facciano ancora impiego, sono comunque state imposte regole relative all’intervallo di tempo tra sospensione e macellazione, che dovrebbero escludere la presenza di residui.

L’intento non è quello di allarmare il consumatore incriminando un alimento essenziale nella dieta di ognuno. L’applicazione del PNR ed i risultati ottenuti annualmente denotato infatti un sempre maggiore coinvolgimento delle aziende produttrici e, soprattutto, un’estensione dei controlli a tappeto, che coinvolge tutte le realtà presenti sul nostro territorio nazionale. La tolleranza zero adottata dall’Unione Europea denota che l’attenzione delle autorità competenti nei confronti della salute della popolazione è sempre in prima linea pertanto, al consumatore, non resta che dare fiducia a tali istituzioni, continuando a tutelare la propria salute e la propria sicurezza non in modo passivo, come una spugna assorbente informazioni, bensì in modo curioso, e coscienzioso, consapevole del fatto che noi siamo davvero quello che mangiamo.

Dott.sa Giulia Mattanza

 


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