In questi ultimi anni si è intensificato un ampio dibattito politico e dottrinale sulla attualità della nostra Costituzione.

Secondo alcuni essa sarebbe superata e ormai logora dopo oltre 65 anni dalla sua entrata in vigore e dovrebbe essere integrata, modificata e modernizzata in molte sue parti. Al contrario, altri la ritengono ancora attuale e la considerano un sicuro presidio delle libertà fondamentali e dei diritti. Tale affermazione di principio trova riscontro proprio nel campo della sicurezza sul lavoro, nel quale la carta costituzionale persegue la tutela della salute, obiettivo primario che considera perfettamente conciliabile con le esigenze della produzione e delle imprese. Tralasciando il dibattito sulla riforma del Titolo quinto, sulla forma di governo e sulla organizzazione dello Stato con i relativi rapporti con gli Enti territoriali, occorre rilevare a chiare lettere che le altre parti della Costituzione appaiono non solo valide ma attuali e modernissime.

La prima parte prevede e tutela al massimo livello i fondamentali diritti di libertà, dignità, uguaglianza contro ogni discriminazione: anche nei luoghi di lavoro deve essere valorizzata e protetta la persona umana del lavoratore, al quale sono riconosciuti diritti soggettivi perfetti tutelabili contro ogni tipo di violazione e prevaricazione, tra i quali rientra certamente il diritto alla salute e alla sicurezza. A norma dell’art.2, che regge anche gli articoli 3 e 4, anche i luoghi di lavoro sono formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità umana e dove devono venire adempiuti doveri inderogabili di solidarietà. A sua volta l’art.1 ha sepolto una volta per tutte i privilegi sociali dello Stato monarchico, cioè dello Stato “feudatario” dei baroni e dei padroni che davano del tu agli umili: l’unico titolo di dignità è il lavoro, come scrisse Costantino Mortati.

 La norma costituzionale che maggiormente esprime e dimostra la attualità della vigente Costituzione è l’art.41, secondo il quale l’iniziativa economica privata è libera, ma non deve svolgersi con danno per la sicurezza, la libertà e la dignità umana: la vicenda complessa e spinosa dell’ILVA di Taranto appare significativa e dimostra che la Costituzione indica la strada maestra per conciliare le esigenze della produzione, con il dovuto ruolo ai poteri organizzativi e gestionali del datore di lavoro, con il diritto alla salute dei cittadini e dei lavoratori, in un sistema lavorativo e organizzativo che non può e non deve prescindere dalle esigenze di sicurezza per tutti i soggetti coinvolti. Ricordiamo che anche il diritto alla salute viene previsto e tutelato dalla Costituzione all’art.32 quale diritto fondamentale di rango costituzionale.

 La vigente Carta costituzionale, quindi, contiene anche nel campo della sicurezza sul lavoro principi giuridici cardine, fondamentali, in grado di orientare e guidare uno sviluppo ordinato, leale e a misura d’uomo delle attività lavorative e produttive, conciliando gli interessi del capitale, della produzione e delle Aziende con gli interessi dei lavoratori e dei cittadini tutti. Anche nel campo della sicurezza i padri costituenti, e più precisamente la Commissione dei 75 costituita da veri esperti molti dei quali avvocati o professori universitari di materie giuridiche, seppero esprimere compiutamente e conciliare per il supremo interesse generale dell’Italia le tre anime storicamente formatesi del popolo italiano: l’anima liberale, l’anima cattolica, l’anima socialista.

La Corte Costituzionale ha avuto occasione più volte di occuparsi della tutela del lavoro e della sicurezza sul lavoro: anzitutto, ha più volte affermato il principio che si tratta di materie a competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni a norma dell’art.117 (ad esempio la sentenza n. 221 del 4/10 ottobre 2012 e la fondamentale sentenza n. 50 del 13/28 gennaio 2005).

In relazione al vigente Testo Unico Sicurezza n. 81/2008, la Consulta ha avuto occasione di affermare l’importante principio che i provvedimenti concernenti le Aziende, restrittivi della loro sfera giuridica ed emessi in connessione con reati presupposto di natura colposa in materia di sicurezza sul lavoro a norma del D.Lgs n. 231/2001, devono obbligatoriamente essere motivati; nella fattispecie, la Corte si è pronunciata sull’art. 14, comma 1, del T.U. n. 81/2008 stabilendo che per i provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale sussiste l’obbligo di motivazione previsto dall’art. 3, comma 1, della Legge 7 agosto 1990 n. 241.


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