In tempi di razionalizzazione delle spese degli organismi derivati (ed ovviamente delle retrostanti funzioni), si arriva giustamente sino al punto di restringere – costringere il collegio (consiglio) di amministrazione delle società partecipate sulla dimensione ultra – risicata dell’amministratore unico*.

Ma ci si può spingere anche oltre?

Più precisamente, l’amministratore societario può cumulare su di sé anche il ruolo di direttore generale o dirigente dell’azienda pubblica?

Tendenzialmente, no.

Vi osta, difatti, l’esplicita previsione di incompatibilità da “pacchetto anticorruzione”, contenuta nell’articolo 12, comma 1 del decreto legislativo n. 39/2013, che testualmente recita: gli incarichi dirigenziali negli enti di diritto privato in controllo pubblico sono incompatibili con l’assunzione e il mantenimento, nel corso dell’incarico, della carica di presidente e amministratore delegato nello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico che ha conferito l’incarico.

A dire il vero, la preclusione non sarebbe poi così assoluta.

Essa risulterebbe forzabile nei casi in cui l’amministratore non risulti provvisto di specifiche deleghe gestionali dirette, avvalendosi del concorso sulla fattispecie dell’art. 1, comma 2, lett. e) del medesimo decreto, che, nello sciorinare la legenda del testo normativo, fa coincidere “gli incarichi e le cariche in enti di diritto privato” (qui incompatibili) soltanto con le cariche di “presidente del consiglio di amministrazione con deleghe gestionali dirette o amministratore delegato”.

Quindi, mentre l’amministratore delegato o unico non dovrebbe snaturare il genetico ruolo “supremo” sporcandosi le mani con compiti prettamente gestionali, viceversa il “semplice” presidente del consiglio di amministrazione o componente dello stesso ben potrebbe sbizzarrirsi in compiti strettamente manageriali**.

Anzi, secondo spunto presente in autorevole posizione dottrinaria***, la preclusione scatterebbe limitatamente ai ranghi dirigenziali puri e semplici, senza coinvolgere le funzioni di vertice direzionale, grazie al peculiare tenore letterale della “norma base” in esame, che involve soltanto gli incarichi dirigenziali ignorando beatamente gli incarichi amministrativi di vertice (tra cui rientra la figura di direttore generale).

Anche se sembra tagliare la testa al toro, troncando i margini di azione su quasi ogni direzione, la previsione contenuta nell’art. art. 3, comma 44 della L. n. 244/2007, a mente della quale coloro che sono legati da un rapporto di lavoro con società a partecipazione pubblica o loro partecipate, collegate e controllate, e che sono al tempo stesso componenti degli organi di governo o di controllo dell’organismo o società con cui è instaurato un rapporto di lavoro, sono collocati di diritto in aspettativa senza assegni e con sospensione della loro iscrizione ai competenti istituti di previdenza e di assistenza.

Che l’unica strada praticabile sia quella del consigliere d’amministrazione non delegato – libero professionista (o addirittura volontario)?

Ma pure in questo caso, la strada non sembra essere in discesa …

Ad esempio, la funzione (retribuita) di presidente del consiglio di amministrazione di società partecipata da enti locali, non confligge con le articolate dinamiche della professione forense, nonostante l’opinione contraria dei Consigli Forensi (nazionale e locale), purchè non si possiedano poteri individuali di gestione (ai sensi dell’art. 18 della nuova legge forense, n. 247/2012)**** .

Morale della favola: l’intricato vespaio di norme ed interpretazioni, seppur ancora magmatico e non limato al 100%, suggerisce (prudenzialmente) di evitare commistioni e sovrapposizioni.

A meno che non ci si voglia avventurare in ardite sperimentazioni ermeneutiche circa la successione di leggi nel tempo e l’intervenuta abrogazione tacita del divieto sancito nel 2007, ad opera del decreto legislativo del 2013.

Ma ovviamente occorrono riferimenti più autorevoli del semplice cronista.

Roberto Maria Carbonara, segretario comunale

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* In tal senso, Michele Nico, “Società partecipate: la spending review ispira il nuovo modello di governance”, in “Guida agli Enti Locali” (Ed. “Sole 24ore”) del 25 agosto 2014.

**Almeno, questa è l’interpretazione resa dalla Civit, ora Anac, con la deliberazione n. 47 del 2013 e fatta propria dal parere prot. n. 1938 del 21 gennaio 2014 della Regione Friuli Venezia Giulia – Servizio per gli Affari Istituzionali e il sistema delle Autonomie Locali.

*** Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo, pur riconoscendo la maggiore complessità dell’impianto normativo.

**** Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 25797 del 18 novembre 2013.


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