La giurisprudenza più risalente (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza n. 6690 del 28 dicembre 2007), si era mostrata piuttosto restia a riconoscere dignità da servizio pubblico locale al c.d. “teleriscaldamento”, inteso come l’insieme delle attività preposte a:

– gestire impianti per la produzione di energia elettrica e calore dedicato al riscaldamento degli edifici;
– costruire – manutenere – condurre impianti termici propri e di terzi;
– in sintesi, produrre e vendere energia elettrica e calore;
– il tutto, ovviamente, “extra gas naturale”.

Essa si era lasciata, in qualche modo, “abbagliare” dalle retrostanti logiche d’impresa di carattere industriale e commerciale, esercitate in regime di concorrenza e non finalizzate al soddisfacimento di interessi generali.

I dati materiali dirimenti erano stati, quindi, ancorati:
– alla mancata alimentazione di reti fisse pubbliche, nonché;
– all’insussistenza di obblighi di allaccio e fornitura in capo alla generalità degli utenti.

In definitiva, la fattispecie era ascritta nell’alveo delle attività negoziali, in regime di libera concorrenza.

Ma le cose cambiano …

Adesso, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la recente sentenza n. 23924 del 10 novembre 2014, ne sostiene il pieno rilievo da servizio pubblico locale, in costanza di taluni requisiti topici, ossia:
– gestione – erogazione delle prestazioni da parte di società miste, a co/partecipazione locale (seppur minoritaria);
– stipulazione di convenzioni tra società ed enti locali, dirette a disciplinare la concessione di terreni pubblici per l’installazione degli impianti di erogazione del servizio;
– interlocuzione di un’apposita conferenza dei Sindaci sulla determinazione delle tariffe annuali del servizio (in altri termini, il gestore può praticare gli aumenti annuali, soltanto dopo aver incassato l’assenso preventivo di detta conferenza, organizzata per tutelare l’omogeneità di trattamento degli utenti).

In tale assetto, risulta di particolare rilievo l’esercizio del potere d’interlocuzione sui valori tariffari, inequivocabilmente a vocazione pubblicistica, per funzionalità e stretta pertinenza alla realizzazione dell’interesse pubblico ed implicante la propagazione di consistente discrezionalità amministrativa.

Non è, difatti, un caso la composizione verticistica dell’organismo (conferenziale) d’interlocuzione: si esercita un vero e proprio controllo politico (una sorta di commissariamento da soviet!).

Se si fosse trattato della mera applicazione di criteri matematici precostituiti dalla legge, sarebbero stati evidentemente coinvolti i soli responsabili degli uffici tecnici.

A nulla vale poi contestare un’eventuale collocazione delle prerogative d’interlocuzione tariffaria in ambiti negoziali (la conferenza discende non dalla legge ma da convenzione ampiamente facoltativa): la pubblica amministrazione ben può perseguire gli interessi della collettività anche attraverso accordi integrativi o sostitutivi di provvedimenti.

Logico corollario: gli utenti eventualmente incisi dalle determinazioni tariffarie dispongono non di diritti soggettivi bensì di interessi legittimi, da far valere dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) del codice del processo amministrativo.

Roberto Maria Carbonara, segretario comunale


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