I comuni possono svolgere “in prima persona” l’attività di farmacia avvalendosi dei seguenti moduli tipici:
1) azienda speciale;
2) consorzio tra più enti locali per la gestione associata delle farmacie di cui siano titolari;
3) società di capitali costituita con i farmacisti che, al momento della costituzione della medesima, prestino servizio presso le farmacie “incorporate”;
4) ma anche gestione immediata e diretta, ossia in economia.

La tipizzazione deriva dalla normativa di settore, integrata dalla legge 27 aprile 1968, n. 475, come modificata dalla legge 8 novembre 1991, n. 362, che mantiene vive, limitatamente al particolare segmento di servizio e mercato, le impostazioni in tema di servizi pubblici locali provenienti dalla vecchia legge n. 142/90, oramai superate sugli altri versanti. Il principio ermeneutico cui si è ricorso per siffatta reviviscenza è rappresentato dal tradizionale brocardo: lex posterior generalis non derogat priori speciali.

La specificità dell’ambito si estende altresì alle spese di personale consentendo di derogare alla generale disciplina vincolistica, coinvolgente l’intero settore pubblico allargato.

Persino nei casi di gestione in economia, quando i costi dei dipendenti – farmacisti ricadono visivamente sui saldi del bilancio dell’ente locale proprietario, non diversamente dagli altri suoi uffici.

La norma autorizzatoria di tal fatta è data dal comma 2 bis dell’art. 18 del D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni in L. n. 133/2008, e successivamente più volte “rimaneggiato” (da ultimo con la riforma “Renzi” della pubblica amministrazione di questa estate).

Ebbene, tale disposizione esenta espressamente le farmacie comunali in quanto tali ed a tutto tondo (a prescindere dalle modalità gestorie) dai limiti di spesa sul personale, purchè conservino livelli di costo coerenti colla quantità dei servizi erogati (trattasi di blando assunto di principio, poco precettivo, ridondante, di buon senso più che altro).

L’esenzione si presta alla multilateralità ed involve sia la capacità assunzionale, a tempo determinato ed indeterminato sia il principio di costante e progressiva riduzione della spesa (si supera la logica dei tetti di spesa da non sforare rigidamente).

Le ragioni delle possibilità di splafonamento si ancorano alle esigenze di assicurazione di servizi volti alla protezione di beni della vita di rango costituzionale, prevalenti rispetto alle logiche da patto di stabilità, di contenimento dei conti pubblici (in altri termini, le disposizioni di natura finanziaria devono essere recessive dinanzi alla tutela dei diritti asseverati dalla Carta fondamentale).

In tal senso, in primis, emerge il diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione, declinabile nel sub-diritto alla disponibilità dei farmaci e delle cure per il tramite di un’appropriata rete di distribuzione, interpretata, per l’appunto, dalle farmacie, vere e proprie articolazioni del Servizio Sanitario Nazionale. In questo scenario, la Corte Costituzionale, è arrivata a sostenere, colla sentenza n. 87 del 10 ottobre 2006, la marginalità dell’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista.

Il quadro è poi completato dal diritto all’assistenza, sancito dall’art. 38 Cost., a sua volta articolabile nel sub-diritto alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui agli artt. 1 e 2 della L. n. 328/2000, volto ad assicurare qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e ad eliminare o ridurre condizioni di disabilità, bisogno, disagio individuale – familiare derivanti da inadeguatezza del reddito, difficoltà sociali o condizioni di non autonomia.

In definitiva, uno statuto eccezionale, dettato da ineludibili esigenze di coesione sociale del Paese.*

Roberto Maria Carbonara, segretario comunale

* Articolo ispirato da Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Lazio, deliberazione n. 226 del 15 dicembre 2014.


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