La genesi del potere normativo delle Autorità regolatorie

L’art. 2, comma 12, lett. h), della Legge 14 novembre 1995, n. 481, attribuisce alle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, il potere di emanare direttive ai soggetti esercenti, in tema di produzione ed erogazione dei servizi medesimi.

Tali direttive devono contribuire a definire i livelli di qualità delle prestazioni:

– sia complessivamente intese (tirando in ballo, quindi, la struttura del mercato e i suoi dispositivi di accesso, soprattutto a livello di standard tecnici, a tutela del corretto utilizzo delle reti infrastrutturali, assicurabile essenzialmente attraverso congrue componenti d’organizzazione imprenditoriale);

– sia con riferimento alla specifica posizione di garanzia da assicurarsi ai singoli utenti (in termini di regole di condotta da imporsi agli operatori, relative a prezzi, trasparenza e regimi di tutela).

Esse, peraltro, sono abilitate a modificare o integrare il regolamento di servizio predisposto dal soggetto esercente, grazie all’esplicita forza derogatoria “sacralizzata” al comma 37 del medesimo articolo due.

Siffatto “ius vitae necisque” risulta comunque temperato dall’obbligo di consultazione preventiva degli esercenti e dei rappresentanti degli utenti e dei consumatori, anche in camere “stagne”, differenziabili per settore e tipologia di prestazione.

Gli ambiti del potere regolatorio dell’Aeegsi

Ed in tale solco, si muove e dipana anche l’Aeegsi (Autorità per l’energia elettrica, il gas e il servizio idrico integrato).

Che è chiamata ad esercitare un vero e proprio potere normativo secondario attraverso l’emanazione di atti amministrativi precettivi collettivi.

Che sono in grado di porsi in senso derogatorio, non soltanto riguardo ai “meschini” regolamenti di servizio, ma addirittura rispetto alle stesse norme di legge, purchè ricorrano le seguenti condizioni (in concorso tra loro):

a) le norme di legge (c.d. “cedevoli”) devono rivestire ontologicamente carattere dispositivo, recante la loro libera plasmabilità in capo alle parti del rapporto contrattuale (ci si riferisce, in tal senso, al rapporto di utenza nell’ambito del servizio);

b) la deroga deve essere effettuata ad esclusiva tutela della parte contrattuale debole, ossia dell’utente – consumatore, a secco di informazioni tecniche e provvisto di scarni strumenti finanziari.

Specularmente, restano preclusi questi ambiti:

a) deroga a norme di legge a contenuto imperativo;

b) deroga a norme di legge dispositive a sfavore dell’utente consumatore, a meno che non lo consenta una speciale previsione di legge o una fonte comunitaria ad efficacia diretta, di segno contrario.

In definitiva:
– scomodando categorie civilistiche, l’integrazione dell’asset contrattuale avviene con il metodo prefigurato dall’art. 1339 del codice civile, quello della c.d. fonte eteronoma: le clausole e i prezzi di beni o di servizi, imposti dall’ordinamento, sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti; ristabilendo, in tal modo, il contraddittorio paritario in favore del contraente debole;

– ricorrendo viceversa a coordinate economiche: l’Autorità è titolare di poteri di regolazione anche nei settori liberalizzati, affinchè siano salvaguardate le dinamiche concorrenziali a tutela dell’utenza; infatti, la liberalizzazione di un mercato non comporta automaticamente il passaggio ad una situazione di concorrenza, la cui promozione rientra tra le competenze dell’Autorità, fin quando essa ritenga che il mercato non sia idoneo alla formazione corretta delle regole negoziali in contesto di leale competizione.

La consultazione preventiva degli interlocutori

Ed il sistema non può essere affatto tacciato di neo/autoritarismo, grazie, come anticipato, alle tecniche di consultazione preventiva dei diversi interlocutori, imperniate su capisaldi “2.0”:

1) pubblicazione sul sito istituzionale dell’Autorità, di deliberazione di avvio del procedimento di (nuova) regolazione, imperniata sulla diffusione degli elementi essenziali del “progetto di riordino”, con focalizzazione delle questioni “scottanti”, di cui si sollecita la controdeduzione;

2) raccolta di osservazioni e proposte telematiche, in un arco temporale di solito non inferiore ai trenta giorni; contestuale attivazione di gruppi di lavoro, incontri pubblici e seminari, audizioni speciali, raccolte di risposte alle domande più frequenti;

3) motivazione dell’atto di regolazione tenendo conto delle osservazioni e delle proposte presentate.

Restano escluse dal processo partecipativo dimensioni, tutto sommato, marginali e tollerabili, afferenti essenzialmente a contesti vincolati o di straordinaria urgenza/emergenza/sicurezza.*

Il dissenso minoritario

Anche se non si riesce a tacere di una discorde posizione “più rigorista”, minoritaria, secondo cui l’assetto normativo appena delineato, non fornirebbe all’Autorità l’indispensabile copertura (l’“esplicita delega da fonte primaria”) per intervenire unilateralmente sui regolamenti negoziali degli utenti, in quanto il suo tenore letterale andrebbe circoscritto a logiche macro/economiche di mercato in senso lato, senza possibilità di splafonamento sulla micro/organizzazione dei consumatori: dogmaticamente parlando, il contratto di utenza integrerebbe un campo costituzionalmente riservato alla competenza esclusiva della legge (non per niente, in base all’art. 1372 del codice civile, il contratto ha “forza di legge” tra le parti); per cui non potrebbe essere “piegato” in via meramente amministrativa. **

Roberto Maria Carbonara, segretario comunale

* Corte di Cassazione Civile, sesta sezione, sentenza n. 1722 del 29 gennaio 2015, che ripropone principio di diritto cristallizzato in Cassazione Civile, sentenza n. 17786/2011; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza n. 876 del 9 febbraio 2011; Aeeg, deliberazione 23 dicembre 2014, n. 649/2014/A.

** Tar Lombardia, sezione terza, sentenza n. 683 del 14 marzo 2013.


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