1. Introduzione alla composizione della tariffa.

La tariffa in esame costituisce, a tutti gli effetti, il corrispettivo del servizio idrico integrato reso alle diverse utenze.

Essa viene determinata sulla scorta dei seguenti fattori (ponderali):

–         qualità della risorsa idrica e del servizio fornito;

–         qualità delle reti distributive e degli adeguamenti necessari;

–         entità dei costi di gestione delle reti distributive;

–         entità dei costi di gestione delle aree di salvaguardia;

–         quota parte dei costi di funzionamento degli enti di governo degli ambiti locali.

Il tutto, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio effettivamente sostenuti dal gestore, secondo i principi del “recupero dei costi” e del “chi inquina, paga!”.

A fronte del quadro appena delineato, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, su proposta della competente Autorità Indipendente (“per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico”), definisce con proprio decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori d’impiego dell’acqua.

Passando dal generale al particolare, l’ente di governo dell’ambito locale predispone la corrispondente tariffa di base, nel rispetto degli assetti normativi di riferimento, per trasmetterla, ai fini dell’approvazione definitiva, alla già citata Autorità Indipendente.

Nel caso di inutile decorso dei termini previsti dalla legge per l’adozione degli atti di definizione della tariffa da parte degli enti locali competenti, vi provvede l’Autorità Statale, con esercizio di potere sostitutivo, su istanza delle amministrazioni o delle parti interessate, entro n. 60 giorni, previa diffida all’autorità di primo livello (fisiologicamente competente) ad adempiere entro n. 20 giorni.

Poi, la tariffa è “comminata” dai soggetti gestori, in applicazione dei pertinenti contratti di servizio.[1]

2. A chi spetta la disciplina legislativa della tariffa: allo Stato o alle Regioni?

Decisamente, sicuramente, inequivocabilmente allo Stato, con margini regionali ristretti a piccoli “ghirigori”.

L’azione unitaria svolta dallo Stato, nell’ambito materiale di collocazione della disciplina afferente alla determinazione della tariffa del servizio idrico, si giustifica, innanzi tutto, con la finalità di garantire sull’intero territorio nazionale un trattamento uniforme alle varie imprese operanti in concorrenza tra loro, onde evitare arbitrarie disparità in tema di costi aziendali, potenzialmente derivabili da vincoli imposti in modo differenziato.

Nel contempo, l’uniforme metodologia tariffaria, assunta dalla legislazione statale, evita che i “concessionari – gestori unici” abusino della propria posizione, evidentemente dominante.

Assurgendo a dimensione dogmatica, i poteri legislativi esercitati dallo Stato attengono, quindi, al dispiego di competenze esclusive nella materia della tutela della concorrenza (ex art. 117, comma 2, lett. e), Cost.), senza poi dimenticare quella della tutela dell’ambiente (ex art. art. 117, comma 2, lett. s), Cost.), entrambe prevalenti su eventuali titoli regionali concorrenti, ivi compreso quello della disciplina dei servizi pubblici locali.

Approfondendo ulteriormente la prospettiva ambientale appena introdotta, risulta evidente come  il legislatore statale fissi livelli uniformi di tutela dell’ambiente attraverso la disciplina dell’utilizzo, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, disciplina coinvolgente anche la scelta delle tipologie dei costi che la tariffa in argomento è preposta a recuperare.

Riconducendo, infine, le due componenti costituzionali emerse a sintesi: la disciplina statale relativa alla determinazione della tariffa costituisce un complesso di norme atte a preservare il bene giuridico “ambiente” dai rischi derivanti da una tutela non uniforme e discontinua e a garantire lo sviluppo concorrenziale del settore del servizio idrico integrato.[2]

3.a) I criteri di quantificazione della tariffa: l’abrogazione referendaria dell’ “adeguata remunerazione del capitale investito”.

Il referendum popolare del 12 – 13 giugno 2011, i cui esiti sono stati proclamati con D.P.R. 18 luglio 2011, n. 116 e sono in vigore a far data dal 21 luglio 2011, ha prodotto l’abrogazione del comma 1 dell’art. 154 del Codice dell’Ambiente, nella parte in cui prevede(va), tra i criteri definitori della tariffa, anche quello della “adeguata remunerazione del capitale investito”, espungendolo dall’Ordinamento tout court.

Difatti, al referendum abrogativo va riconosciuta anche una sorta di valenza espansiva rispetto alle disposizioni non coinvolte in maniera espressa dal quesito referendario ma comunque incompatibili con la volontà manifestata dagli elettori, sulla scorta di logiche d’intima connessione quanto agli effetti pratici. Tali norme (indirette) non sono state tanto abrogate tacitamente quanto assoggettate ad un regime di sopravvenuta inapplicabilità o inoperatività. La direttrice di cotanta dilatazione caducatoria si è sviluppata alla luce della “ratio” del “rendere estranei alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua”.

Analiticamente parlando, l’esito referendario si è, quindi, esteso anche alla normazione di secondo livello (nel caso di specie, il D.M. 1 agosto 1996) preposta alla fissazione operativa dei parametri di quantificazione della tariffa, con riferimento alla sostanziale applicazione del criterio speculativo di che trattasi.[3]

3.b) I criteri di quantificazione della tariffa: il recupero dei costi di esercizio.

Gli ammontari di tariffa devono assicurare la copertura dei costi d’investimento ed operativi che i gestori plausibilmente sosterranno per l’erogazione del servizio.

In tal modo, gli operatori sono indotti a praticare politiche di efficientamento, strumentali a contenere detti costi al di sotto dei parametri presi a riferimento per il calcolo delle tariffe e conseguire corrispondenti utili.

Con particolare riferimento ai costi operativi, la tariffa è configurata in esito al confronto tra “valori modellati”, calcolati sulla base di formule normative, e valori reali previsti nel piano finanziario locale, in modo da conseguire livelli progressivi di efficienza.

Ad ogni modo, sia i valori modellati sia quelli risultanti dal piano finanziario, restano comunque valori ipotetici, basati sulle previsioni di costo che gli operatori andranno a sostenere per far fronte alla gestione del servizio in un periodo dato.

Quindi, non è affatto detto che i costi effettivi, seppur riconosciuti concettualmente quali “guida – ispiratrice”, siano concretamente ripianati, non essendo consentite valutazioni rimodulatorie retroattive a posteriori: la loro “effettività” sta solo ad indicare la necessità che, nella predisposizione della tariffa, si tenga conto analiticamente di tutte le voci rilevanti (senza tralasciarne alcuna), secondo ponderazioni di stima, ostative di rimborsi a piè di lista.

Siffatta impostazione, peraltro, non risulta scientificamente contraddetta dalla teorica possibilità di effettuare variazioni alla tariffa, opzione relegata al caso delle stime di costo contenute nel piano finanziario rivelatesi errate metodologicamente ovvero della sopravvenienza di fattori esterni di una certa rilevanza. Inoltre, tali modifiche varrebbero solo per il futuro, consentendo soltanto di evitare il procrastinarsi del disequilibrio e non anche di rimediare agli effetti negativi che già si siano prodotti nel passato.

Morale della favola: gestori ed enti di governo devono intervenire tempestivamente sull’adeguamento della tariffa; eventuali ritardi od omissioni non possono essere scaricati sull’utenza tramite adeguamenti tariffari ex post.

E’ comunque fatta salva la possibilità per le parti di far valere, nei loro reciproci rapporti, le rispettive responsabilità.[4]

3.c) I criteri di quantificazione della tariffa: lo strano caso del servizio di depurazione.

La quota di tariffa riferita allo specifico servizio di depurazione non può essere applicata anche agli utenti la cui fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione (o nei casi di temporanea inattività dei medesimi).

Altrimenti, si violerebbe l’esiziale principio ordinamentale secondo cui la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, senza eccezione alcuna, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, originata non tanto da un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, quanto piuttosto dal contratto di utenza.

La carenza di sinallagma non può essere ovviata nemmeno dalla costituzione di apposito fondo vincolato alla realizzazione degli impianti di depurazione, eventualmente finanziato dalle quote pagate dagli utenti sprovvisti. Anche perché i depuratori potrebbero essere realizzati in località diverse da quella in cui viene a trovarsi lo specifico utente o in tempi difficilmente definibili, senza possibilità di interlocuzioni incisive in capo agli utenti “vessati”!

Pertanto, in caso di servizio non reso, l’eventuale esborso sostenuto dall’utente va qualificato come indebito e, quindi, rimborsato, a meno che non sia già intervenuta la prescrizione del retrostante diritto, ai sensi degli artt. 2946 o 2948 del codice civile.

Ovviamente, i soggetti che richiedano la restituzione delle somme indebitamente pagate, devono fornire la prova dell’avvenuto pagamento sia attraverso la produzione della ricevuta di pagamento sia attraverso le ulteriori forme in uso attestanti il pagamento del corrispettivo, di recente configurate dalla tecnologia.

Procedendo a ritroso, si tratta addirittura di presiedere ai seguenti irrinunciabili valori costituzionali:

a) diritto inviolabile alla qualificazione dell’individuo come soggetto di diritto (art. 2 Cost.);

b) eguaglianza sostanziale degli utenti (art. 3 Cost.);

c) tutela dinamica della salute (art. 32 Cost.), che impedisce di agevolare atteggiamenti lassisti e dilatori degli enti locali;

d) svolgimento delle attività economiche in armonia con la dignità umana e l’utilità sociale (art. 41 Cost.), senza l’imposizione di balzelli acausali per tempi indefiniti;

e) buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che non può imporre ai cittadini una sorta di tassa senza titolo.[5]

4.a) La natura extratributaria della tariffa: lo “svicolamento” dai blocchi imposti dal legislatore centrale.

A volte può succedere che il legislatore centrale sospenda per tre anni il potere degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi ad essi attribuiti con legge dello Stato, al fine di contenere gli oneri finanziari a carico dei cittadini e delle imprese, in considerazione di congiunture macro economiche particolarmente sfavorevoli[6].

Tuttavia, siffatto divieto d’incremento dei tributi non interferisce con la facoltà degli enti locali di deliberare in ordine ad eventuali aumenti di tariffe e proventi di natura extra tributaria.

Ebbene, la tariffa relativa al servizio idrico integrato è qualificabile come entrata extratributaria, essendo direttamente collegata all’erogazione/fruizione di un servizio pubblico “divisibile” e a domanda individuale.

Più precisamente (e come già anticipato in relazione alla componente di prestazione resa dalla depurazione), essa è diretta a coprire il costo del servizio fornito dagli enti locali ai cittadini, in attuazione del principio della copertura minima dei costi di gestione e secondo un rapporto di corrispettività della contribuzione dovuta rispetto al quantitativo di acqua effettivamente consumato in un dato periodo[7].

A fronte di ciò: e via ad andare cogli aumenti!

4.b)  La natura extratributaria della tariffa: l’impossibilità di ricorso al ruolo senza titolo esecutivo.

E’, quindi, oramai pacifico che le tariffe corrisposte al gestore del servizio idrico integrato dagli utenti costituiscono dei corrispettivi di diritto privato.

Emerge, pertanto, con chiara evidenza come la riscossione delle tariffe sotto analisi mediante ruolo, sia assoggettata alle disposizioni generali della materia: in base all’art. 21 del D. Lgs. n. 46/1999, occorre che il credito da riscuotere attraverso l’iscrizione a ruolo risulti da titolo già rivestente efficacia esecutiva. E le fatture del gestore, ovviamente, non costituiscono titolo esecutivo.

Peraltro, il legislatore novellatore del Codice dell’Ambiente ha effettuato in proposito, all’art. 156, soltanto precisazioni in merito ai soggetti a cui è possibile affidare la riscossione della tariffa, senza affatto addentrarsi nella previsione della possibilità di riscossione mediante ruolo con sistema autonomo e scollegato rispetto a quello ordinario, assunto per la generalità delle entrate privatistiche degli enti pubblici.[8]

4.c) La natura extratributaria della tariffa: la devoluzione del contenzioso al G.O., in luogo della Commissione Tributaria e del G.A.

Il Gestore – erogatore dell’acqua, alla caccia dei suoi crediti nei confronti degli utenti, non agisce nell’esercizio di un potere impositivo a carattere pubblicistico, bensì in virtù di un rapporto contrattuale a connotazione schiettamente privatistica e paritetica.

Conseguentemente, le correlate controversie restano di competenza del giudice ordinario e non sbalzano su quello tributario.

E le cose, ovviamente, non cambiano nel caso di ricorso, quale strumento di esazione, alla cartella esattoriale (pur nel rispetto dei presupposti di cui al paragrafo precedente): difatti, non è il mezzo di esazione a poter determinare a quale giudice spetti la giurisdizione, bensì la natura della pretesa retrostante.[9]

Allo stesso modo, le controversie promosse dai privati nei confronti del gestore del servizio idrico integrato, aventi ad oggetto l’entità della tariffa concretamente applicata in bolletta, s’incardinano sulla giurisdizione del giudice ordinario e non su quella del giudice amministrativo, in quanto la giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo postulerebbe l’inerenza della controversia ad una situazione di potere della P.A. (cosa che non è!), senza che possano assumere rilevanza rapporti di utenza che non vedano coinvolta la p.a. come autorità. Ne’ la giurisdizione del giudice amministrativo è configurabile per il solo fatto del coinvolgimento (indiretto) dell’atto amministrativo generale di determinazione delle tariffe per i vari tipi di utenza, in considerazione del potere del giudice ordinario di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi, la cui efficacia condizioni l’esistenza ed il contenuto del diritto sostanziale costituente l’oggetto del processo.

Viceversa, le controversie aventi ad oggetto, non la misura dei corrispettivi dovuti, ma la legittimità dell’atto amministrativo di fissazione delle tariffe in quanto tale, competono sicuramente al G.A., in ossequio ai principi generali del riparto di giurisdizione[10].

5) La contestazione della tariffa evoluta in bolletta: il contatore non fa fede sino a querela di falso!

Può anche capitare di contestare la bolletta dell’acqua, soprattutto quando si ritenga che la richiesta di pagamento ivi recepita sia ingiustificata, alla luce dei consumi medi fatturati in precedenza e del fabbisogno dell’attività esercitata, oltre che del sospetto di anomalie e perdite idriche presso il punto di allaccio.

E se, a questo punto, il gestore del servizio continuasse ad arroccarsi sulla formale corretta lettura  del contatore (matricola esatta, letture corrispondenti, ecc.)?

Soccorrerebbe il principio secondo cui l’obbligo del gestore erogante di computare gli addebiti sulla base delle indicazioni del contatore non può tramutarsi in un privilegio assoluto, fondato sull’incontestabilità ideologica del dato prodotto dallo strumento di misurazione.

Conseguentemente, la deduzione da parte dell’utente, in sede di contestazione dei valori ricavati dallo strumento di misurazione, di specifiche circostanze, comporta, in capo al somministrante, l’onere di fornire la prova del corretto funzionamento del contatore e, quindi, dell’affidabilità dei valori dallo stesso registrati, altrimenti viene meno ogni presunzione di certezza ed effettività[11].

Roberto Maria Carbonara, segretario comunale


[1] D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, c.d. “Codice dell’Ambiente”: art. 149, come modificato dall’art. 1, comma 5 del D. Lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e dall’art. 7, comma 1, lett. a) del D.L. 12 settembre 2014, n. 133; art. 154, come modificato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni in legge 18 ottobre 2012, n. 179, dal referendum abrogativo indetto con D.P.R. 23 marzo 2011, n. 116, dall’art. 1, comma 5 del D. Lgs.  8 novembre 2006, n. 284 nonché dall’art. 7, comma 1, lett. a) del D.L. 12 settembre 2014, n. 133. Senza dimenticare l’art. 10, comma 14 del D.L. 13 maggio 2011, n. 110, convertito con modificazioni in L. n. 12 giugno 2011, n. 106, come ulteriormente modificato dall’art. 21, comma 13 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, a sua volta convertito con modificazioni in legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[2] Corte Costituzionale, sentenze nn. 67 del 12 aprile 2013, 29 del 4 febbraio 2010, 246 del 24 luglio 2009, 335 del 10 ottobre 2008, 51 del 7 marzo 2008.

[3] Tar Toscana, sezione prima, sentenza n. 436 del 21 marzo 2013; Consiglio di Stato, sezione seconda, parere n. 267 del 25 gennaio 2013; Corte Costituzionale, sentenza n. 26 del 26 gennaio 2011.

[4] Tar Lombardia Milano, sezione seconda, sentenza n. 1593 del 18 giugno 2014; Tar Lazio Latina, sezione prima, sentenza n. 529 del 20 giugno 2011; Tar Umbria, sezione prima, sentenza n. 126 del 5 maggio 2011.

[5] Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza n. 3920 del 30 giugno 2011; Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 25 del 10 febbraio 2009. Va integrativamente precisato che i ragionamenti sviluppati nel paragrafo discendono dalla pronuncia d’incostituzionalità contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale n. 335 del 10 ottobre 2008. Senza dimenticare come le tecniche d’innesto delle sentenze della Consulta sui rapporti giuridici, lascino inalterati quelli oramai esauriti con sentenze passate in giudicato, incardinino il temine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 2948 c.c. per i rimborsi connessi a pagamenti ante sentenza costituzionale e facciano maturare il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c. riguardo ai rimborsi afferenti a pagamenti susseguenti.

[6] Ad esempio, è successo coll’art. 1, comma 7, del D.L. 27 maggio 2008, n. 93 (recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito con modificazioni in Legge 24 luglio 2008, n. 126 e col successivo art. 77bis, comma 30, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), a sua volta convertito con modificazioni nella Legge 6 agosto 2008, n. 133.

[7] Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 26 del 14 aprile 2010.

[8] Cassazione Civile, sezione terza, Ordinanze nn. 17628 del 29 agosto e 14628 del 4 luglio 2011.

[9] Cassazione Civile, sentenze nn. 9240/2002, 13775/2002, 11720/2010.

[10] Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Ordinanza n. 24306 dell’1 dicembre 2010.

[11] Tribunale Civile di Caltanisetta (giudice Cammarata), sentenza dell’11 novembre 2013, imperniata su Cassazione Civile, sentenze nn. 18231/2008 e 10313/2004.


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