IN POCHE PAROLE…

E’ legittimo l’ordine del giudice amministrativo al Comune di provvedere alle verifiche edilizie e urbanistiche sulla SCIA, sollecitate dal proprietario confinante con denuncia tardiva.


Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 8 luglio 2021, n. 5208, Pres. S. De Felice, Est. D. Simeoli

(conferma TAR Lazio, sez. II quater sent. 21-10-2020, n. 10702)


I poteri di controllo sulla SCIA, se attivati entro i sessanta o trenta giorni dalla segnalazione, sono vincolati, con la conseguenza che l’interessato potrebbe chiedere anche l’accertamento della fondatezza nel merito della pretesa, mentre se attivati tardivamente possono sollecitare solo i poteri di autotutela (Corte cost. 45/2019).

I poteri di controllo tardivo sulla SCIA sollecitati dal terzo sono doverosi nell’an e discrezionali nel quomodo, spettando all’amministrazione la verifica sull’esistenza dei relativi presupposti.

E’ legittimo l’ordine del giudice amministrativo al comune di provvedere alle verifiche edilizie e urbanistiche oggetto della denuncia tardiva del proprietario confinante, in quanto, ove non sussistesse neppure l’obbligo di iniziare e concludere il procedimento di controllo tardivo con un provvedimento espresso, si finirebbe per privare il richiedente di ogni tutela effettiva davanti al giudice amministrativo, in contrasto con gli articoli 24 e 113 della Costituzione, stante la scelta del legislatore di optare per il silenzio-inadempimento quale unico mezzo amministrativo di tutela messo a disposizione del terzo.


A margine

Il giudizio di appello verte sulla correttezza della statuizione del Giudice di primo grado (TAR Lazio 10702/2020), che ha ordinato a un Comune di provvedere alle verifiche edilizie e urbanistiche, sollecitate con la diffida  tardiva presentata dal proprietario dell’ immobile confinante.

Il Giudice di prime cure aveva ritenuto illegittimo il comportamento inerte del Comune, lasciando del tutto impregiudicata la verifica, spettante all’Amministrazione, sull’esistenza dei presupposti, anche temporali,  per l’attivazione delle verifiche sulla DIA (ora SCIA) di cui all’art. 19, commi 3 e 4, della legge n. 241 del 1990, e, di conseguenza, senza pronunciarsi sulla doverosità delle misure di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.

La sentenza

Il Giudice di appello ha confermato a sentenza del TAR sull’illegittimità del silenzio serbato dal Comune in merito all’istanza di accertamento, con alcune puntualizzazioni rispetto alle motivazioni del Giudice di prime cure.

Per i Giudici di Palazzo Spada, innanzitutto, non vale invocare una sorta di inoppugnabilità della D.I.A. per decorso dei termini di esercizio dei poteri di verifica di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, che si riferiscono all’ipotesi in cui il terzo contesti la compatibilità edilizia e urbanistica delle opere dichiarate, in quanto nel caso in analisi la richiesta del privato riguardava la sollecitazione del potere repressivo dell’Amministrazione in ordine agli illeciti edilizi, che, aventi natura permanente, non è sottoposto a termini di decadenza né di prescrizione.

Diversamente, si andrebbe a consolidare per il titolare delle opere dichiarate ( o segnalate) una posizione più stabile rispetto a quella che deriverebbe da un provvedimento autorizzatorio espresso, stante che anche “il titolare del permesso di costruire resta sempre esposto al potere di vigilanza dell’Amministrazione per le opere abusive non coperte dal titolo rilasciato”.

A sostegno della tesi sostenuta, il Collegio richiama “le statuizioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017, secondo cui la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo e allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata”.

Il Giudice di appello ritiene, inoltre, di dovere rimarcare che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990, l’amministrazione deve concludere il procedimento anche se ritiene che la domanda sia irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata, salvo ovviamente l’ipotesi di manifesta pretestuosità.

Per il Collegio, nel senso della doverosità (in deroga al consolidato orientamento secondo cui l’istanza di autotutela non è coercibile), milita sia l’argomento letterale sia la lettura costituzionalmente orientata del disposto normativo.

Sotto il primo aspetto, il Collegio segnala la differente formulazione dell’art. 21-nonies rispetto all’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990, il quale ultimo, a differenza del primo, dispone che l’amministrazione «adotta comunque» (e non già semplicemente «può adottare») i provvedimenti repressivi e conformativi (sempre che ricorrano le condizioni per l’autotutela),

Sotto l’altro profilo, il Collegio osserva che, “avendo il legislatore optato per silenzio-inadempimento quale unico mezzo amministrativo di tutela messo a disposizione del terzo, ove non sussistesse neppure l’obbligo di iniziare e concludere il procedimento di controllo tardivo con un provvedimento espresso, si finirebbe per privare l’istante di ogni tutela effettiva davanti al giudice amministrativo, in contrasto con gli articoli 24 e 113 della Costituzione”.

Conclusioni

In sintesi, per la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, rispetto alla sollecitazione dei poteri di controllo della SCIA,  ancorché tardiva, è necessario riconoscere perlomeno l’obbligo dell’Amministrazione di fornire una risposta, per cui è legittimo l’ordine del giudice amministrativo al Comune di provvedere alle verifiche edilizie e urbanistiche oggetto di SCIA sollecitate dal terzo, ferma restando la discrezionalità dell’Amministrazione sulla verifica dell’esistenza dei presupposti per procedere. Obbligatorio, quindi, nell’an ma non nel quomodo

La decisione merita di essere segnalata perché deroga al  consolidato orientamento secondo cui l’istanza di autotutela non è coercibile. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito, infatti, che non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall’esterno l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell’atto amministrativo mediante l’istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto; ciò in quanto il potere di autotutela si esercita discrezionalmente d’ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione, e non su istanza di parte, con la conseguenza che sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo giuridico di provvedere (Cons. St, sez. IV, sentenza 9 luglio 2020, n. 4405; ex multis V Sez. n. 7655 del 2019).

Si annota, però, che l’orientamento sulla non coercibilità dell’istanza di autotutela, cui con coraggio si discosta la sentenza annotata seppure limitatamente alle verifiche edilizie, non sembra più in linea con il principio della necessaria cooperazione tra amministratori e amministrati, dal 2020 scritto a «chiare lettere» nel  comma 2 bis, dell’art. 1, della L. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 12, co 1, lett. Oa) del D.L. 76/2020, secondo cui «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede».

Giuseppe Panassidi, avvocato in Verona


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