IN POCHE PAROLE …

La Cassazione, a Sezioni riunite, riconosce la competenza dei tribunali italiani a giudicare delle controversie promosse da Associazioni ambientalistiche e cittadini per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da cambiamento climatico, provocato da imprese, che, con le loro emissioni in atmosfera di CO2,  hanno superato i limiti compatibili con gli impegni internazionali assunti dai Paesi sottoscrittori. 

Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 21 luglio 2025, n. 20381, Pres. E.Cirillo, – Rel. G. Mercolino


ll fatto

Greenpeace, ReCommon e alcuni cittadini residenti in zone particolarmente esposte agli effetti del cambiamento climatico hanno promosso azione giudiziaria (climate change litigation) diretta ad ottenere il  risarcimento del danno  causato da emissioni in violazione alle misure relative al cambiamento climatico.

In particolare, hanno convenuto davanti al Tribunale di Roma ENI S.p.A., il Ministero dell’Economia e la Cassa Depositi e Prestiti, per chiedere l’accertamento della loro responsabilità per i danni – patrimoniali e non – derivanti dal riscaldamento globale, che ,a causa dell’incremento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera, “produce gravi conseguenze sugli ecosistemi e sulle comunità umane dell’intero pianeta, determinando l’interruzione della produzione alimentare e dell’approvvigionamento idrico, danni alle infrastrutture ed agli insediamenti e il deterioramento della vita, della salute e del benessere degli esseri viventi, che, traducendosi a loro volta in un incremento dei flussi migratori e in un’amplificazione delle disuguaglianze tra regioni ed ambienti socioeconomici o tra le generazioni, possono costituire fonti di conflitto o fattori d’inasprimento dei conflitti già in atto“.

La domanda attorea – diretta a limitare le emissioni di CO₂ prodotte da ENI e a imporre al Ministero e alla Cassa, quali azionisti di riferimento, l’adozione di politiche di controllo sugli obiettivi climatici della società, conteneva una precisa contestazione: le emissioni riconducibili ad ENI – pari allo 0,6% del totale mondiale – non sarebbero compatibili con gli impegni internazionali (Accordo di Parigi [1], IPCC [2], COP di Glasgow e Sharm el-Sheikh [3]).

L’ENI ha negato la pretesa, “in quanto incompatibile con il proprio diritto di determinare liberamente la propria politica aziendale, tutelata dall’art. 41 Cost.; il difetto assoluto di giurisdizione, avendo la domanda ad oggetto l’adozione di misure che presuppongono valutazioni di natura politico-legislativa, spettanti al Parlamento ed al Governo, e, nella specie, dell’Autorità giudiziaria italiana, avendo gli attori allegato, a sostegno della domanda, anche condotte tenute all’estero ed attribuibili a società straniere distinte ed autonome rispetto ad essa convenuta, nonché il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, spettando in via esclusiva al Ministro dell’ambiente la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale”.

Il Ministero, fra l’altro, ha invocato il difetto assoluto di giurisdizione, sostenendo che  che “la pretesa azionata comporterebbe un’invasione della sfera riservata al legislatore, cui l’Accordo di Parigi demanda la definizione delle modalità concrete per la sua esecuzione, anche in
riferimento all’autorità giudiziaria competente a valutarne il rispetto da parte dei soggetti pubblici e privati residenti in Italia.

La Cassa DDPP, infine, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, avendo la controversia ad oggetto condotte ascrivibili all’ENI, destinataria esclusiva dei provvedimenti richiesti, e il difetto assoluto di giurisdizione, avendo la controversia ad oggetto questioni di natura politico-legislativa estranee all’ambito del potere giurisdizionale e spettanti alla competenza del Parlamento e dell’Esecutivo.

Gli attori, quindi, hanno proposto ricorso per regolamento di giurisdizione, chiedendo la dichiarazione della spettanza della giurisdizione al Giudice adìto, e, in subordine, la proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n. 204 del 2016, per contrasto con gli artt. 2, 9, 24, 41 e 117 Cost.

L’ordinanza delle Sezioni Unite

Con l’ordinanza annotata, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affrontato la questione preliminare della giurisdizione (regolamento di giurisdizione) e hanno stabilito che spetta all’autorità giudiziaria italiana conoscere della controversia, rimettendo le parti al Tribunale di Roma.

La motivazione valorizza due punti centrali. Innanzitutto, il principio del luogo del danno: la giurisdizione si radica anche laddove si producono gli effetti lesivi, ossia in Italia, dove i ricorrenti vivono e subiscono le conseguenze del cambiamento climatico; la natura risarcitoria ed extracontrattuale della domanda, fondata sugli artt. 2043, 2050 e 2051 c.c., in relazione agli artt. 2 e 8 CEDU e agli artt. 9 e 41 Cost., nella loro formulazione aggiornata (tutela dell’ambiente e responsabilità intergenerazionale.

A tali conclusione, la Cassazione è giunta sulla base della giurisprudenza  della Corte di giustizia UE sul Regolamento n. 1215/2012, che consente di adire il giudice del luogo in cui il danno si è concretizzato (tra le altre: CGUE, Dumez France, C-220/88; Zuid-Chemie, C-189/08; VKI, C-343/19).

A supporto di questa pronuncia fortemente innovativa, le Sezioni Unite hanno richiamato, inoltre, la recente sentenza della Corte e.d.u., Grande Camera. 9 aprile 2024, Verein Klimaseniorinnen Schweiz e a.c. Svizzera, che ha riconosciuto la legittimazione di un’associazione di donne anziane, particolarmente esposte ai rischi climatici, e ha accertato la violazione dell’art. 8 CEDU, che include il diritto a una protezione effettiva contro le gravi minacce ai diritti umani derivanti dal cambio climatico. Non solo. Ha anche riconosciuto che il mancato esame nel merito dei ricorsi da parte dei giudici nazionali ha comportato la violazione del diritto di accesso a un tribunale (art. 6 § 1 CEDU). Pertanto, ha  condannando la Svizzera per non aver adottato misure adeguate a fronteggiare gli effetti del riscaldamento globale, in violazione degli artt. 8 e 6 § 1 C.e.d.u, stante che il principale dovere di ogni Stato contraente è di adottare provvedimenti idonei a mitigare gli effetti potenzialmente irreversibili del cambiamento climatico, in grado di interferire negativamente con il godimento dei diritti umani, la cui protezione  esige che le  disposizioni convenzionali  siano interpretate e applicate in modo da garantirne un esercizio concreto ed effettivo.

Conclusioni

La pronuncia, pur non entrando ancora nel merito della responsabilità di ENI e degli altri convenuti, è innovativa, in quanto riconosce che il tema dei danni da cambiamento climatico è azionabile davanti ai tribunali italiani e non resta confinato alla sola sfera nella sfera politico-legislativa.

Afferma, quindi, il diritto a una protezione effettiva contro le minacce del cambiamento climatico e i conseguenti obblighi positivi degli Stati

 Giuseppe Panassidi, avvocato in Verona


[1] L’Accordo di Parigi del 2015 è un trattato internazionale che vincola giuridicamente i suoi firmatari affinché agiscano per combattere i cambiamenti climatici; per la prima volta, i governi hanno convenuto di comune accordo di compiere un importante sforzo collettivo per limitare il riscaldamento globale e affrontarne gli effetti, con l’impegno di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C .

[2]L’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.

[3]  Il vertice dei leader mondiali del 1º novembre 2021 ha inaugurato la 26ª conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 26). Dal 31 ottobre al 12 novembre, la COP 26 ha riunito le 197 parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), tra cui l’UE e tutti gli Stati membri dell’UE.

 

 


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